giovedì 12 aprile 2012

Pensare al futuro del Molise. Non a quello dei Consiglieri


Non c’è aggettivo adeguato per descrivere la situazione della Regione Molise.
L’economia attraversa la peggiore crisi dal dopoguerra, ma la Giunta Regionale è presa da altri problemi. Nel PdL, le bande si armano in vista dello “sciogliete le righe”. Ma, intanto, Iorio non si tocca e le emergenze sono lasciate marcire.
Sarebbe il momento per l’opposizione di ripartire dal programma dello scorso autunno e di impegnarsi nell’elaborazione di un piano di rinascita che passi attraverso il superamento delle emergenze. A partire dal rischio di fallimento delle partecipate, dal dissesto della sanità e dal ritorno dei terremotati (veri) nelle loro case a dieci anni di distanza.
Si può fare, se si ha un progetto. Questo è il compito della politica. Se si ritorna alla politica.
Un esempio per tutti. Valorizzare la filiera agro-alimentare come leva per la ripresa economica e per la coesione sociale.
Con chi ci sta. NON con chi è occupato a difendere la poltrona.



CHE DIRE DELLO STATO DI SALUTE DELLA REGIONE MOLISE?

Paradossale. Disperante. Insostenibile. Non è facile trovare aggettivi appropriati per descrivere la situazione politico-istituzionale del Molise.

Partiamo dal basso, dal livello comunale. Che dire dei comuni principali retti da sindaci votati per dispetto? Solo Agnone, che ha respirato la ventata di aria fresca della scorsa primavera (quasi “in solitaria” nel quadro regionale), può ritenersi fortunata. Il quadro complessivo è desolante, città prive di governo, lasciate a se stesse, senza una fisionomia, né un progetto, né una minima attività amministrativa, foss’anche di “manutenzione evolutiva”. Quando cambierà? Non azzardo previsioni su Isernia: la sola idea che i cittadini di quella città possano finire per specchiarsi in una gigantesca faccia di bronzo, “formato famiglia”, sfidando il ridicolo e la vergogna nazionale, mi lascia senza parole. Nel  complesso, diciamo che i molisani “urbanizzati” sono costretti a fare a meno del livello di governo più vicino a loro.
Le Province molisane, in compenso, hanno precorso i tempi e hanno già provveduto, in autonomia, a sciogliersi. Non inganni il fatto che l’unica loro attività sembra essere quella di rilasciare dichiarazioni contro il superamento delle Province. Niente costa meno ed è più inutile, mero spostamento d’aria
Nella realtà dei fatti stanno gettando alle ortiche le poche risorse che si vedono assegnate. Forti dell’autorità politica, con la discrezionalità che essa consente, assumono decisioni che qualunque funzionario onesto e competente, vincolato al rispetto delle leggi e delle procedure amministrative, avrebbe saputo prendere in modo molto più efficiente e meno clientelare. Per i sostenitori dell’opportunità di superare le province (come rappresentanza elettiva) l’esempio molisano rappresenta un argomento formidabile.
Alla Regione spetta però il primato. I dati sulla situazione economica sono preoccupanti e i confronti impietosi. Nella “ripresina” del 2010 il Molise è rimasto indietro, nella recessione del 2011 è precipitato più degli altri. Il bilancio della Regione è al collasso. Una finanziaria “farlocca”, taroccata da residui attivi inesigibili a cui corrispondono residui passivi che sono come assegni “cabriolet”, riesce a malapena a nascondere la cruda verità: pagati gli stipendi e saldati i debiti che deve obbligatoriamente onorare, restano sì e no alcune decine di milioni di euro per le esigenze impellenti: altro che finanziaria da 3 miliardi (30.000 euro per ogni famiglia molisana)!

SERVIREBBE UNA RISPOSTA ADEGUATA, OLTRE LA SOPRAVVIVENZA. MA NON E’ GARANTITA NEPPURE QUELLA

In questo quadro drammatico ci si aspetterebbe rigore amministrativo e grande impegno progettuale. Ma sarebbe come pretendere che l’imperatore di Valacchia, conte Dracula, donasse il sangue all’Avis.
Il “minimo sindacale” sarebbe almeno garantire la sopravvivenza. Sarebbe, almeno, evitare di lasciare in eredità a chi dovrà gestire la Regione dopo le prossime elezioni un macigno insostenibile. Sarebbe, almeno, se non progettare un futuro migliore, immaginare una via d’uscita (“exit strategy”, per i raffinati) a) dalle operazioni più sballate e più dispendiose, b) dagli sprechi più evidenti. Significherebbe (ma ormai si deve dire significava): a), risolvere le partecipazioni “a perdere” (Solagrital, con appendice Arena, e Zuccherificio) senza gettare sul lastrico le famiglie dei lavoratori incolpevolmente coinvolti; b), mettere in moto un piano sanitario in grado di portare in tempi brevi il Molise a risparmiare qualche centinaio di milioni all’anno aumentando (e non diminuendo) l’offerta di servizi.
Equazioni irrisolvibili? Per chi ha considerato le partecipate un “tesoretto” elettorale e la sanità una prateria in cui scorrazzare liberamente, certo che sono irrisolvibili. Così come lo sono per chi è occupato solo a condurre una guerra di posizione nel PdL, affilando le armi in vista dello “sciogliete le righe”.
Ma per ognuno di questi compiti esistono esempi concreti e precisi (“benchmark” per i raffinati), in altre Regioni d’Italia e non su Giove, di come sia invece possibile risolvere quelle equazioni. Con grandi benefici per i corregionali. Per non parlare dell’altro grande capitolo da aggiungere a questa lista, della gestione del dopo-terremoto, per permettere agli abitanti danneggiati (realmente) dal sisma di rientrare nelle loro case, in paesi restituiti alla piena vita associata, a dieci anni dall’evento. Invece, si sono dilapidate a favore delle clientele, per guadagnare consenso, risorse di straordinaria entità, che amministratori con altre capacità e altri valori avrebbero potuto mettere a frutto come un’occasione irripetibile per il futuro della Regione.

Le procure, della Magistratura e della la Corte dei Conti, gli organi di polizia giudiziaria e la Guardia di Finanza, si stanno occupando con crescente solerzia dell’attività della Giunta Regionale nell’ultimo decennio. Ma i politici della maggioranza che (ancora) governa la Regione si mostrano uniti, come un sol uomo, nella difesa del suo operato. I più geniali tentano solo una sgangherata chiamata di correo: la colpa non è nostra ma dell’opposizione che ha taciuto. E che comunque non avrebbe fatto di meglio.
Per quanto personalmente non mi senta di lesinare critiche all’opposizione molisana, non solo non lo credo vero ma non lo credo nemmeno possibile, nel senso che non penso si potesse fare di peggio. Ma se anche fosse vero, ho comunque idea che la maggioranza dei cittadini molisani sia disposta a fare la prova, pur di vedere finire questo scempio.
In più, c’è un particolare, un ostacolo insormontabile, che rende addirittura patetiche quelle chiamate di correo. L’opposizione non è chiamata a governare (ancora per poco, speriamo). Chi deve farcela è il governo in carica.
Una Giunta non può portare i libri in Tribunale. In termini di pura teoria potrebbe dichiarare fallimento politico. Ma occorrerebbe un coraggio personale e una dirittura morale che è fuori portata.

EPPURE SI POTREBBE! A QUESTO COMPITO SI DEVE PREPARARE L’OPPOSIZIONE. STUDIANDO DA ORA I DOSSIER PER DARE LE RISPOSTE CHE I MOLISANI ATTENDONO

Eppure, come ho detto, non mancano gli esempi. Non sta scritto da nessuna parte che ci si debba rassegnare al peggio.
Qui sta, in effetti, il richiamo che va rivolto, con forza e severità, all’opposizione. Non a chi ripone tutte le sue speranze nella continuazione a oltranza della legislatura: a quelli non c’è da rivolgere moniti, continuino pure a sperare. Se i fatti daranno loro ragione vivranno di rendita qualche anno, altrimenti dovranno fare le valige: il portone dell’Aula consiliare non si aprirà più per loro. Chi, poi, ha offerto leale collaborazione istituzionale alla maggioranza dovrebbe forse prendere atto dell’abbaglio: sono tutti incatenati, senza margini di manovra, nell’abbraccio mortale con una Giunta che si pone in perfetta continuità col passato e non può più rinnegare se stessa.
Gli altri, quelli che hanno creduto fino all’ultimo nel cambiamento, quelli che ce l’hanno messa tutta per intercettare anche il Molise il vento che ha spirato da Milano a Napoli, hanno un compito, un impegno collettivo che possono e devono assumere. Cominciare a lavorare per il dopo.
Partire dal programma delle ultime elezioni e andare oltre, “ingegnerizzarlo”, sforzarsi di tradurlo in proposte concrete sulle priorità, sulle emergenze.
In tutto il profluvio di dichiarazioni, interviste, comparsate televisive, post su Facebook e quant’altro, ci si aspetterebbe dall’opposizione qualche richiamo “alto” ai problemi della Regione. Non solo beghe interne o faccende da sbrigare “ad personam”.
Suvvia, uno sforzo di immaginazione, c’è qualche pista su cui lavorare.

Voglio fare, in conclusione, un esempio.
Chiunque si fosse preso la briga di leggere i dati sull’economia molisana o anche solo qualche rapporto ufficiale si sarebbe reso conto, cifre alla mano, di una verità, che la realtà in effetti ci pone sotto gli occhi ogni giorno. Una delle (non poche) vere ricchezze di questa regione sta nella sua terra o, per essere più precisi, nella cultura secolare che le sue genti hanno accumulato nel lavoro dedicato a metterla a frutto e a trarne risorse preziose.
Non è andata perduta. Oggi le sole attività che fanno segnare una crescita della ricchezza (e, particolare importantissimo, di quella parte della ricchezza prodotta che viene esportata per essere venduta fuori dai confini) sono quelle della filiera agro-alimentare.
Eppure la prima delle emergenze, il fallimento che incombe sulle partecipate regionali, riguarda proprio due pezzi di quella filiera. E’ possibile pensare non solo di salvarli ma di farne due perni per un ulteriore impulso allo sviluppo della filiera e alla qualificazione – internazionale, non solo nazionale – del Molise come marchio di qualità, come territorio-garanzia.
Era questa l’idea originaria che aveva portato al salvataggio della “Arena molisana” mentre l’Arena veronese chiudeva. Perché è andata male? Che ha fatto la Regione per valorizzarla? Perché ne ha fatto solo la copertura per una gestione clientelare delle risorse pubbliche? Perché anziché dilapidare denaro pubblico non ha impegnato la principale risorsa (extra-economica) di cui dispone, la regolazione per promuovere e facilitare i processi virtuosi, di valorizzazione delle imprese locali, del lavoro locale? E analogamente si potrebbe dire dello Zuccherificio. Una volta assunta la decisione, azzardata, rischiosa ma pur sempre praticabile, di mantenere in piedi la raffinazione della barbabietola, perché non sostenere e orientare gli investitori per un ciclo combinato che associasse l’uso del prodotto agricolo a scopo alimentare con gli altri usi, in particolare quelli energetici che, come ci insegnano le esperienze più avanzate e come ci spingeva a fare l’Unione Europea, possono renderne sostenibile il prezzo di mercato?
Andando oltre le emergenze, chi potrebbe negare che un piano coordinato di promozione e valorizzazione della filiera agro-alimentare avrebbe un valore strategico formidabile? Purché fosse un po’ più incisivo e innovativo della stanca riproposizione di bandi a pioggia per spartire le poche risorse fra tanti clienti. A condizione che mettesse in azione le leve potenti che la Regione (soggetto: il vertice politico-amministrativo dell’istituzione) potrebbe manovrare (gli esempi da seguire sono innumerevoli). Se solo fosse animata dalla volontà di far crescere la Regione (complemento oggetto: i cittadini che la abitano) e non solo di preservare il proprio potere e il proprio status economico.
Pensate che nella Regione non ci siano risorse (umane) adeguate per una simile sfida? Che non ci siano imprenditori capaci, attratti da una idea come questa? Ci sono, e sono in azione tutti i giorni, senza nessun aiuto o quasi. Che non ci siano i tecnici in grado di fornire tutti gli elementi di conoscenza necessari alla riuscita del progetto? Ce ne sono in attività, e se ne vedono i frutti, ma ce ne sono anche tanti che vorrebbero farlo ma non trovano occasione di mettere a disposizione le proprie capacità (o si sono rassegnati a farlo altrove). Che non ci siano lavoratori con tutte le caratteristiche professionali adatte allo scopo? Ci sono, altro che! Mancano i politici. Quelli disponibili e potenzialmente capaci aspettano solo di essere messi alla prova. Conquistando, per questo scopo, la fiducia e il consenso dei cittadini elettori.