mercoledì 1 gennaio 2014

Le primarie del PD viste da sinistra

Sulle primarie del PD colgo una certa delusione e qualche silenzio di troppo a sinistra. Non mi sembra ve ne sia motivo.
Le novità non sono state poche e avranno un peso notevole sull'evoluzione della politica italiana in questa fase travagliata, di profonda crisi. Di che segno sono? In che direzione si andrà? Non si può rispondere che avanzando ipotesi che, in una situazione così aperta, vanno considerate come ipotesi di lavoro. Il tema dunque è: quali opportunità e quali rischi presenta la situazione che le primarie ci hanno consegnato?

1 - Una prima osservazione deve riguardare la dinamica. Quale il punto di partenza, quale la conclusione. Partiamo allora dal dato di fatto che il PD nei sei anni che lo separano dalla fondazione ha già eletto cinque segretari. Segno evidente di quanto sia stata faticosa la ricerca di una qualche stabilità. Aggiungiamo che nel frattempo non è riuscito a vincere nessuna delle tre competizioni politiche generali cui ha partecipato (le due nazionali e le europee) benché fosse nettamente favorito dai sondaggi in quella di quest'anno. E che nonostante la schiacciante maggioranza di seggi alla Camera non è riuscito ad eleggere il Presidente della Repubblica se non richiamando in servizio per un secondo settennato l'ultraottantenne Napolitano.

2 - Con queste premesse era diffusa la convinzione (che per taluni corrispondeva a una inconfessabile speranza) che si sarebbe verificato un calo verticale della partecipazione. Invece non si è trattato neppure stavolta di un fenomeno limitato perché si sono mobilitati quasi tre milioni di elettori.
Né si può dire che l'instabilità abbia condotto a un esito incerto. Uno solo, Renzi, le ha vinte, incontestabilmente. E chi riteneva che fosse il favorito nelle primarie aperte agli elettori ma non avesse alle spalle la maggioranza degli iscritti è stato smentito.
Piuttosto, si è avverata l'altra faccia di quella previsione: il voto degli elettori non ha confermato il risultato conseguito da Cuperlo tra gli iscritti. In tutte le precedenti primarie, viceversa, il voto degli elettori aveva rispecchiato piuttosto fedelmente, per tutti i contendenti, quello degli iscritti.

3 - Quest'ultimo dato, più degli altri, merita di essere inquadrato in una prospettiva storica. Il mezzo milione di elettori a cui si è ridotto il consenso della mozione Cuperlo - su cui si era attestato in grande maggioranza il gruppo dirigente storico, i soci fondatori - è stato letto come l'epilogo di un processo più che ventennale di lento logoramento e sfarinamento, fino alla virtuale scomparsa, di ciò che restava del PCI. Se, a partire dalla svolta della Bolognina, era toccato alla parte rimasta fedele a quella storia di subire una progressiva marginalizzazione, nel susseguirsi delle diaspore, fino a restare fuori dal Parlamento, con le primarie del 2013 anche il nucleo degli eredi che avevano tentato rompere la continuità, pur senza abiurare, ha dovuto prendere atto della sconfitta.
Ci sarà modo di approfondire le ragioni per cui quel gruppo dirigente abbia fallito in questo compito e come mai quel fallimento venga ora imputato tutto alla parte in più stretta continuità storica con il PCI. Non mancano contributi, anche molto recenti, che possono aiutare a comprendere. Alcuni provengono da protagonisti della storia del PCI e delle sue successive trasformazioni (Occhetto, Macaluso, Tocci), altri da analisti acuti che ne sono stati partecipi più di recente o se ne occupano e ne seguono le dinamiche da vicino (Barca, Damilano per fare i due esempi più noti).

4 - L'8 dicembre ha vinto, anzi stravinto sugli eredi del PCI (e sul gruppo di provenienza DC a quelli più organicamente legato), un'altra sinistra, molto eterogenea e più difficilmente identificabile in base alla storia. In quella aggregazione ha trovato posto anche un'ampia fetta di provenienza PCI, più veloce nell'aprirsi alla contaminazione o se si preferisce più disinvolta nelle scelte tattiche. Ma la sintesi di un'area così composita stava tutta, in fin dei conti, nella scelta del leader, basata più sulle caratteristiche personali che sul progetto e la collocazione politica. Un leader che, anzi, appariva vincente proprio in quanto aveva dimostrato un'estrema mobilità tattica e una notevole capacità, più ancora che di sintesi, di sincretismo.
Anche se per queste sue caratteristiche sembra sottrarsi a una collocazione chiara nella mappa della sinistra, è tuttavia possibile cogliere alcuni tratti distintivi della cultura politica di Renzi che richiamano un'idea di sinistra molto moderata e poco laica, con un'impronta di cattolicesimo liberale innervato dalla dottrina sociale della Chiesa.
Aver tentato di confinare Renzi, per questi tratti distintivi, nel campo della destra tout court è stato un errore grave, l'ennesimo, commesso da Cuperlo e dai suoi sostenitori (che hanno finito per pagarlo salato). E' proprio per il dilagare dell'egemonia della destra, del pensiero unico iperliberista, che quelle posizioni non solo erano collocabili ma dovevano essere rivendicate come appartenenti al campo della sinistra. Ciò che rappresentava un'anomalia nel panorama mondiale era piuttosto il fatto che quel filone, anziché rappresentare un complemento, significativo ma minoritario, della sinistra di impronta socialdemocratica o democratica, in Italia acquistasse una posizione dominante nella sinistra per effetto della peculiarità (e della debolezza) della componente di provenienza PCI.

5 - Un primo motivo di delusione a sinistra è dunque, presumibilmente, questo. Avvertire l'anomalia come una propria debolezza, del resto, è giusto, ma sarebbe fuorviante leggerla come una resa alla destra partendo dalla constatazione che il cristianesimo liberale (o popolare) nel resto del mondo è, per lo più, il fulcro dello schieramento di destra moderata. Non cogliere le differenze, non dare il giusto peso al comune riconoscimento del valore dell'eguaglianza, sminuire le propensioni per politiche economiche e sociali a carattere redistributivo e non solo caritatevole, sarebbero errori gravi, di settarismo o di presunzione nei confronti del “popolarismo di sinistra”.
Ma c'è un motivo in più perché nella sinistra democratica, socialista, laica, non si pianga per questo esito. Perché credo che non potesse esserci spazio per una sinistra “normale” fintanto che dominava la sinistra che, non avendo fatto i conti con chiarezza con le sue radici, scendeva a compromessi con il moderatismo liberista.
Ora quello spazio c'è. Per la prima volta una terza sinistra può affacciarsi in modo chiaro, visibile e non marginale all'interno del PD.

6 - Non c'è osservatore che non abbia colto come un mondo di delusi e arrabbiati nel campo della sinistra, reduci dall'astensione o dal voto di protesta ai 5 stelle “per dare un segnale”, fosse tentato dalla partecipazione alle primarie ed abbia solo in parte scelto di farlo, votando soprattutto Civati che con più chiarezza e con più rigore ha costruito una proposta politica di sinistra che aveva l'ambizione di misurarsi con l'intero arco dei problemi che oggi si pongono al nostro paese. Ma anche, in numero tutt'altro che insignificante, contribuendo alla vittoria di Renzi “che è di destra ma è l'unico che può spazzare via la sinistra delle sconfitte e delle poltrone”.
Non si tratta, a differenza del passato, di un'area marginale. Ciò che è più importante, non è un'area confinata o confinabile entro il recinto del PD, né in quello, appena un po' più largo, della coalizione “Italia Bene Comune”, che pure dovrebbe ancora rappresentarne il nocciolo. Basterebbe pensare che il popolo del referendum sui beni comuni è più numeroso della somma dei tre partiti-poli (PD + PDL + M5S) e che vi sono confluite le primavere arancioni, il popolo viola, le donne del “se non ora quando”: segmenti spesso sovrapponibili gli uni con gli altri, che hanno trovato molteplici occasioni per convergere ma attendono ancora una risposta dalla politica che faccia sintesi e si candidi a governare.
E c'è di più: le grandi associazioni di rappresentanza, non solo i sindacati dei lavoratori ma le associazioni dei “piccoli” (artigiani, imprenditori, autonomi) stanno vivendo un inaridimento complessivo della loro capacità di rappresentanza. La loro azione è inefficace in una crisi che morde fin nel ceto medio, mentre i garantiti vanno perdendo tutele e perfino diritti; non è intaccato ancora il reticolato visibile, l'impalcatura delle strutture un tempo grandi. Ma i gusci, sempre più vuoti, rischiano di implodere. Non potranno certamente tardare a manifestarsi fenomeni di rinnovamento radicale, a cui il sommovimento avvenuto nel PD può fare da innesco.

7 - Che ne sarà di questo amalgama, di questa composita realtà sociale soggetta ad impoverimento e emarginazione, nessuno sa dirlo. A questo amalgama deve comunque rivolgersi, innanzi tutto e senza indugio, prima che sia troppo tardi, la sinistra in gestazione. Perché, con la destra, sia sconfitta anche la crisi che ha prodotto e di cui si nutre.
E' un compito tutt'altro che facile. Per tante ragioni, che è perfino superfluo elencare, è un compito che Renzi non può assolvere, se non sciogliendo le ambiguità che ha coltivato e le contraddizioni in cui è avvolto con una chiara scelta di campo a sinistra. Non dipende solo da lui: sta alla sinistra e in primo luogo a Civati e all'area che si è raccolta con grande passione intorno a lui accettare la sfida misurandosi senza remore sull'obiettivo che Renzi propone: quello di vincere una partita di portata storica.

Il primo banco di prova, già incombente, è la legge elettorale ma la cartina di tornasole sarà il lavoro. Su questo dovremo tornare ad insistere.