sabato 24 settembre 2011

Di Laura Frattura messo alla prova

[21 settembre – 27 settembre]
La situazione politica in Italia è in una evidente situazione di impasse. Una pericolosa involuzione che minaccia la stabilità economica e le stesse basi della democrazia.
Un governo che non ha più il consenso della maggioranza del Paese dopo aver stravolto la Costutuzione repubblicana instaurando una dittatura della maggioranza.
Era questa l'alternativa alla Prima Repubblica?
O non è piuttosto il risultato della mancata uscita dalla Prima Repubblica, sopravvissuta a se stessa in questa forma estrema, molto distante da un modello di “sana”, “normale” democrazia?

La scelta che gli elettori molisani compiranno tra qualche settimana ha molto a che vedere con questi problemi insoluti.
Una sfida per Paolo Di Laura Frattura. Dovrà vincere, innanzi tutto. Ma non è chiamato a vincere per cambiare un po' (in meglio, si intende). Dovrà vincere, per cambiare profondamente.

Questo è il segnale di cui l'Italia ha bisogno, dopo le amministrative di primavera e i referendum. Questa la responsabilità che pesa sulle spalle del candidato di centro-sinistra.

LA PRESENTAZIONE DELLE LISTE DI CENTRO SINISTRA E IN PARTICOLARE DEL LISTINO HA SOLLEVATO INTERROGATIVI.

La discussione che si è aperta dopo la presentazione delle liste, in particolare sulla composizione del cosiddetto “listino” per il maggioritario, ha toccato alcuni aspetti cruciali della fisionomia politica della coalizione che si presenta al giudizio degli elettori attorno al candidato presidente Paolo Di Laura Frattura.

Ho accennato nel post della settimana scorsa qualcuno dei punti salienti, che sono anche i più controversi.
Riassumo: contrariamente alle anticipazioni (e agli impegni) di Paolo Di Laura Frattura, un politico è stato inserito nel listino; inoltre, il ritratto non tradisce il progetto ma non si può dire che l'opera sia riuscita come poteva. Al di là del risultato, il metodo non ha convinto. Tavolo di maggiorenti, interminabili mediazioni, giochi e contro-giochi, a cui il candidato Frattura aveva giurato di non mai sottoporsi.

E' su questo tema che intendo tornare innanzitutto. Per un buon numero di osservatori, anche simpatizzanti, il candidato si è uniformato a un metodo di fare politica che ha solo svilito la politica e allontanato da essa i cittadini. Eppure per i politici di professione (ce ne sono anche nel Molise, in un numero probabilmente sproporzionato, in eccesso, rispetto all'entità della popolazione da rappresentare) quel metodo non è uno dei tanti possibili ma è il metodo per antonomasia, quello che la politica tout court, senza aggettivi, impone. Ma è davvero così?

NON SONO INTERROGATIVI DI DI POCO CONTO. HANNO A CHE VEDERE CON I NODI IRRISOLTI DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA, SENZA ESAGERAZIONI. COME USCIRE DALLA DEMOCRAZIA BLOCCATA DELLA PRIMA REPUBBLICA. UN TRAGITTO TUTTORA INCOMPIUTO.

Non è un tema secondario. Ho scritto in un post precedente che il nostro paese ha vissuto una sorta di segregazione (culturale, più che materiale) in materia di politica, con qualche riflesso di una certo rilievo anche in economia, dal resto del mondo. Dopo l'anomalia tragica del fascismo, si è prodotta una nuova anomalia, inedita per il mondo intero: un partito conservatore, piglia tutto, privo di alternative politiche, “condannato” a rappresentare e mediare al suo interno la complessità della società senza la spinta della competizione per governare. Al posto della competizione aperta (e dell'alternanza) all'opposizione era riservato il solo strumento della "pressione", parlamentare o di piazza, con un ruolo ancillare delle forze sociali, caricate così di una funzione politica impropria. Democrazia bloccata, fattore K, questo fenomeno è stato descritto e sviscerato in ogni suo risvolto, salvo che, per un aspetto che, a mio modesto avviso, è restato costantemente - e sorprendentemente - in ombra: quanto di quella anomalia è sopravvissuta a se stessa dopo l''89 ed ha addirittura permeato quella che, con una certa imprudenza, è stata ribattezzata Seconda Repubblica.

Elenco qualche “indizio”, se così si può chiamare.

UNA COSTITUZIONE ANCORA DA ATTUARE COMPIUTAMENTE.

Quella anomalia ha reso la nostra Costituzione repubblicana una costituzione incompiuta - o tradita, se si preferisce, dalla c.d. costituzione materiale – per tutta la parte che riguarda l'assetto dei poteri (parliamo del bilanciamento dei poteri, uno dei tre cardini su cui regge un sistema democratico).
Il bilanciamento tra esecutivo e legislativo era zoppo, non essendovi una minoranza tale da potersi candidare a divenire maggioranza, con due conseguenza complementari tra loro: una volatilità estrema dei governi in base all'evoluzione delle mediazioni interne alla maggioranza; una gestione assembleare del Parlamento, per quanto possibile (se conveniva alla pace sociale), che talora esaltava talaltra temperava quella stessa volatilità. Solo la magistratura e la Presidenza della Repubblica hanno tentato di superare l'anomalia in cui, a onor del vero, erano rimasti a lungo immersi durante la Prima Repubblica, pur dando importanti segnali di cambiamento già prima della caduta del Muro (si pensi a Pertini, ma solo quanto a comunicazione diretta con il popolo in virtù di un carisma personale, e alle figure eroiche dei magistrati che hanno rotto il muro di omertà che copriva la connessione, fino alla commistione, tra politica e mafia e criminalità organizzata in genere). Non a caso si è visto, non appena in quelle istituzioni si è manifestata la volontà di interpretare fino in fondo il ruolo che la Costituzione assegnava loro, quali reazioni questi tentativi abbiano suscitato: una sorta di guerra civile tra le istituzioni che dura tuttora e di cui non si scorge ancora la soluzione.

Aggiungo che è rimasta incompiuta anche la parte che riguarda la rappresentanza degli interessi, che è un altro pilastro costitutivo della democrazia che, in una società divenuta complessa e plurale, ha bisogno di poggiare su una sussidiarietà orizzontale solida (quanto a rappresentanza) e stabile (quanto a regole). Il famigerato “articolo 8” sul sistema di contrattazione da ultimo rivela a quale stadio di regressione possa portare questa incompiutezza.

CORRUZIONE E EVASIONE FISCALE VANNO DI PARI PASSO E LASCIANO UN'IMPRONTA INDELEBILE SUL SISTEMA DEMOCRATICO. E SONO LA CAUSA ULTIMA DEGLI ENORMI COSTI DELLA POLITICA, CHE NON HANNO RAFFRONTI NEI SISTEMI DEMOCRATICI.

La corruzione e il decadimento dell'etica pubblica rappresentano un ulteriore tassello in questo quadro, che sta portando il nostro paese sul baratro della bancarotta: “effetto collaterale” di una democrazia bloccata, quasi una rendita da monopolio del potere politico, si è trasformata in cancro, non essendo stata estirpata come doveva (e come sembrava potesse) con Tangentopoli, pervadendo ogni ganglio del potere senza anticorpi, anche per effetto dell'assenza di bilanciamento.
La corruzione come sistema, non più somma di episodi che attengono alla condotta individuale “contra legem” ma regola di funzionamento di tutto l'apparato pubblico nonché di quello privato che del pubblico è cliente ovvero fornitore, è una realtà che ha preso corpo DOPO l'avvento della cosiddetta Seconda Repubblica.
E vanno considerati gli effetti che questo fenomeno ha prodotto da un lato quanto ai costi della politica, dall'altro quanto alla lealtà fiscale dei cittadini.

Politici e amministratori italiani costano proporzionalmente molto più dei loro omologhi nel mondo sviluppato e la giustificazione di questa abnormità è stata trovata nell'esigenza di rendere i civil servants e i rappresentanti eletti impermeabili (o meno permeabili) alla corruzione o alla tentazione della concussione. Il risultato non è stato solo un aumento dei costi della politica che si rivela ormai insostenibile, ma anche una selezione alla rovescia del personale politico: la carriera politica è diventata un lucroso investimento per gli avventurieri più spregiudicati o un premio di fedeltà, consentito da una riforma elettorale che ha sostituito l'elezione con la designazione. Si è così risolto, nel modo peggiore, il precario equilibrio tra esecutivo e legislativo a tutto danno di quest'ultimo, sottomesso e marginalizzato in termini di potere in cambio di uno status di assoluto privilegio. Politica come servizio, o come professione? Favola per bambini.

Quanto alla lealtà fiscale, è sempre più evidente quanto la corruzione abbia bisogno di una vasta evasione fiscale per essere alimentata e quanto i comportamenti illeciti o illegali dei contribuenti siano istigati, non solo a parole ma nei fatti, da un apparato pubblico, assemblee elettive e pubblici uffici, pervaso dalla corruzione.

Da ultimo si dovrebbe parlare del consenso informato, che con il bilanciamento dei poteri e il primato della legge “uguale per tutti” (o stato di diritto) compone la triade classica dei pilastri su cui si regge la democrazia. Ma basta riferirsi alle classifiche internazionali sulla libertà di stampa per esaurire l'argomento.

LE ELEZIONI REGIONALI DEL MOLISE SONO UN TEST IMPORTANTE SULLA CAPACITA' DI TENUTA DI QUESTO SISTEMA DI GOVERNO CON TUTTA LA SUA ANOMALIA. PUO' ANCORA CONTARE SUL CONSENSO DEI MOLISANI CHE GLI ATTRIBUIRONO CINQUE ANNI FA IL 60% DEI VOTI?

Mi auguro che qualche lettore abbia seguito fin qui l'esposizione senza limitarsi a considerarla una requisitoria dai toni un po' forti contro i vizi della Seconda Repubblica, che in realtà ho semplicemente sostenuto essere, come molti autorevolissimi commentatori politici non solo italiani vanno ormai ripetendo, il proseguimento in forma aggravata dell'anomalia della Prima Repubblica. Quel lettore potrebbe però chiedersi quanto siano pertinenti queste considerazioni rispetto al punto da cui siamo partiti.
In primo luogo: c'entra qualcosa il Molise? Credo che nessuno possa negare che tutti i vizi, le distorsioni qui descritte per il nostro Paese si ritrovino puntualmente, perfino accentuati, nella nostra piccola regione.
Il dubbio può tuttavia riguardare la pertinenza del ragionamento con la vicenda di cui ci stiamo occupando, giacché questa riguarda NON la maggioranza che è al potere ma il modo di far politica di chi si candida DALL'OPPOSIZIONE a sostituirsi al governo attuale. In altri termini, se al governatore Iorio e alla sua maggioranza si può rimproverare di aver saldamente instaurato in Molise il sistema di potere che vige a livello nazionale, in che misura si può estendere la condanna all'opposizione? E che ruolo gioca in questo quadro il candidato Paolo Di Laura Frattura?

Vorrei rispondere al dubbio restando all'essenziale: il ragionamento riguarda anche l'opposizione. Senz'altro in misura minore, ma la riguarda. Perché non potrebbe non riguardarla, trattandosi di un fenomeno DI SISTEMA.
Sposterei perciò l'attenzione sul passaggio successivo: come può l'opposizione porre in atto una strategia che contrasti e modifichi radicalmente questo SISTEMA?

Non pretendo di avere la ricetta per un problema politico che, dal mio punto di vista, riassume in qualche modo l'intrico dei nodi che il nostro Paese è chiamato a sciogliere, ben al di là del puro e semplice passo iniziale (non più rinviabile eppure non ancora all'ordine del giorno) della caduta di Berlusconi (e di Iorio per quanto riguarda il Molise).
Sollecito però una riflessione collettiva e tento di collocare in questa cornice la domanda sul ruolo di Paolo Di Laura Frattura e sul suo profilo.

IL RUOLO DEL CANDIDATO PRESIDENTE, PAOLO DI LAURA FRATTURA.

Ho considerato un esercizio molto poco interessante – credo di averlo scritto a più riprese su questo blog – quello concernente la coerenza nel tempo del suo curriculum legato alla candidatura del 2000 e del 2001 con Forza Italia; del resto, ha spiegato in tutte le sedi come la motivazione di quella candidatura fosse legata a una ragione del tutto contingente, un'esperienza di concertazione dal basso che Iorio aveva promosso nella veste di assessore alle Opere Pubbliche quando era ancora nello schieramento di centro-sinistra. 
Non mi è sembrato poco interessante perché non do importanza al curriculum. Ma quello che conta è un curriculum di vita, lungo l'arco degli anni e mi sembra che quelli successivi alla sua nomina a Presidente della Camera di Commercio di Campobasso lo abbiano visto protagonista di un metodo di lavoro e di gestione che non dà adito a sospetti né di clientelismo, né di affarismo, né di autoritarismo e di soppressione degli spazi di partecipazione e di dialogo sociale ma al contrario sia stato apprezzato non poco dalle forze sociali.

Ma fin qui siamo solo alla corteccia. Oggi dobbiamo andare al sodo e misurare le aspettative che si possono riporre in Paolo Di Laura Frattura come POLITICO alle prese con il nodo che ho cercato fin qui di esporre. Alle prese insomma con la necessità di una svolta DI SISTEMA. Su questo va anche misurato il suo comportamento nella fase di predisposizione delle liste e in particolare del listino che ricade sotto la sua responsabilità ultima, in quanto può essere rivelatore e fornire perciò indizi sull'affidabilità degli impegni che va assumendo per il futuro.
Perché è confortante, e motivo di soddisfazione, riscontrare come gli impegni pubblici assunti finora, sia nella campagna per le primarie sia nel primo avvio di quella vera e propria, siano andati tutti nella direzione di quella svolta. Ma saprà praticarla?

Azzardo due monconi di risposta, che forse non fanno una risposta neppure messi insieme ma possono aprire un discorso.

Il primo risponde alla seguente domanda: pur avendo dovuto (o comunque deciso di) mediare con i rappresentanti dei partiti e delle formazioni che compongono la coalizione, è riuscito a mantenere l'impegno di un listino che segnalasse persone nuove NON passate attraverso quel sistema politico e non marchiate da un'esperienza interna a quelle dinamiche?
Un primo dubbio viene sollevato perché non è estraneo a quel sistema Oreste Campopiano, che ne è stato e si può dire ne sia tuttora parte. E' uscito molto più di recente rispetto a Di Laura Frattura dal sistema che ruota intorno a Iorio, ma prima di lui ha compiuto un percorso che lo ha portato nel centro sinistra. E' sufficiente a compensare la violazione del principio “i politici fuori dal listino”? Personalmente ritengo di no e rilevo che questo giudizio è condiviso da molti che lo avrebbero visto piuttosto in una delle liste sul proporzionale. Tuttavia non ritengo che questo fatto, con le particolarità che ne sono alla base, sia sufficiente a inficiare un giudizio di affidabilità.

Un secondo dubbio investe il profilo dei candidati al maggioritario. Sono tutte persone in genere apprezzate e stimate, tali quindi da consentire nell'insieme un giudizio di coerenza con gli impegni presi. Il loro profilo non copre tuttavia l'arco delle espressioni rilevanti delle “energie” che agitano la società civile. Che sono poi le energie che possono svolgere un ruolo protagonista in direzione del superamento delle anomalie del sistema politico. La scelta poteva dunque essere più significativa e mandare quindi un segnale più forte di quello che è emerso, investendo una latitudine più ampia (anche in senso geografico, se quattro su sei sono della città di Campobasso).
In sintesi, per stare alla metafora velica che piace al candidato, ha tenuto la barra nella direzione richiesta ma il polso poteva essere più fermo e evitare quindi uno scarto eccessivo dalla linea ideale.

Ma qui viene il secondo moncone di risposta, alla domanda seguente: ha scelto la via della mediazione con lo scopo di allargare il quadro delle forze disponibili e intensificarne l'impegno o ha semplicemente subito il ricatto delle vecchie regole e di un rituale che risponde solo a un'esigenza di autoconservazione di quella che sinteticamente si definisce come Casta (sia pure alla “molisana maniera”)?
Posso testimoniare che la risposta del candidato a questa domanda è “la prima che ho detto”. Di buone intenzioni è lastricato il pavimento dell'inferno, ma questo è un discorso del tutto diverso da quello che sto portando avanti e che riguarda l'affidabilità. Nel senso che può sbagliare ora la valutazione ma la consapevolezza del problema (di cui la risposta dà prova) è la condizione necessaria per correggere gli eventuali errori di valutazione.
Fatto sta che bisogna pur dire che un compito quale quello che il candidato si assegna, di stabilire non solo un modo migliore di svolgere la funzione di guida entro il sistema dato, ma di adottare altri parametri per stabilire UN DIVERSO SISTEMA, non può essere vissuto in termini titanici (o, peggio, prometeici), che si rivelerebbero inevitabilmente come ottime premesse per fare la fine di Don Chisciotte. Vanno perciò sostenuti tutti gli sforzi che vanno in direzione di un maggiore coinvolgimento di un arco più ampio di soggetti.

LA CAMPAGNA ELETTORALE DEL CENTRO-DESTRA MIRA A TENERE NASCOSTA LA PORTATA DELLA SFIDA CHE SI GIOCA IN MOLISE. BUON SEGNO.

Infine una battuta, non posso farne a meno, sulla campagna del centro-destra. Può darsi che abbiano scelto di attaccare il profilo di Paolo di Laura Frattura con l'unico intento, costante, di sminuirlo agli occhi della gente. Gli argomenti (il tradimento, detto dai primi ribaltonisti d'Italia, la figura di imprenditore, detto da una congrega di affaristi con pochi eguali) sono di una notevole pochezza ma risponderebbero tuttavia allo scopo di mantenere la contesa, e quindi anche l'avversario, sul livello terra terra. Può però darsi anche che siano rimasti anni luce lontani dalla comprensione della portata della sfida che è stata lanciata. Se fosse così, starebbe alla coalizione di centro-sinistra scommettere sul livello alto. Scommettere dunque su un livello di cultura politica dei molisani ben al di sopra di quello su cui si colloca il discorso del centro-destra.
Sarebbe un errore di snobismo intellettuale e di lontananza dal comune sentire, quindi un errore comunicativo di cui si sconterebbero conseguenze (quasi) fatali? Non so, il dubbio è legittimo ma credo si possa rispondere negativamente senza destare scandalo. In fondo i padri della Patria molisana non è detto che debbano essere per forza i DC che hanno voluto la XX regione (salvo il particolare che i loro eredi la stanno demolendo). Quel Molise che sul finire del XVIII secolo ha respirato un'aria di rinnovamento della cultura politica, e delle basi giuridiche del potere statale, aprendo la strada alla rivoluzione borghese, forse è ancora vivo e vitale. I Cuoco, i Pepe, i Pagano, antesignani del Risorgimento e dell'Unità nazionale, forse non hanno smesso di esercitare un influsso ideale importante e se ne possono magari trovare eredi migliori rispetto a quelli che oggi governano questa terra ... Possiamo augurarcelo?