lunedì 20 febbraio 2012

PD, partito "open source"


[16 febbraio – 22 febbraio]
Una conversazione sul PD, che è anche un punto di vista sulla politica in Italia e in Molise.

Tra due giovani di formazione e cultura molto diverse.

Che riflettono e fanno riflettere.


In una recente occasione conviviale ho avuto modo di intavolare una conversazione, per me di grande interesse, con due giovani interlocutori.
Il tema era il PD, ma ne è venuta fuori una riflessione sulla politica in Italia e in Molise, con alcuni spunti che mi è sembrato di dover riproporre. Nella sintesi avrò certamente messo del mio. D'altra parte i miei interlocutori preferiscono l'anonimato e questo mi solleva dalla preoccupazione della fedeltà testuale. Non è un verbale ma una rilettura ragionata, benché molto sintetica (per due ore buone di chiacchiere!).
I due amici hanno formazione e cultura molto diversa e ne devo dare conto. Uno è un giovane amministratore con incarichi di direzione nel PD (lo identifico come il Politico, P), l'altro è un informatico attivo in politica, anche lui con tessera PD ma senza incarichi ad alcun livello (lo identifico come il Tecnico T).

PARTITO SENZA FISIONOMIA?

P – Partito senza guida. In Italia come in Molise
T – Non c'è nulla di male, partito “a rete”, orizzontale, non piramidale. Senza padroni.
P – Non può funzionare. Senza fisionomia. Chiunque può alzarsi la mattina e dire la sua. Solo confusione agli occhi degli elettori.
T – Hai presente “creative commons”? E' un sito Internet dove trovi tutti i contenuti che ti servono, foto, testi, “opere di ingegno”, senza copyright quindi utilizzabili gratis da chiunque. Ecco, il marchio del PD è “creative commons”, non è registrato, non si paga copyright. E' a disposizione di tutti. Perché non funziona?
P – Agli elettori si devono dare risposte, vogliono sapere se saprai risolvere i loro problemi. Devi spiegare loro come farai, se parli con dieci voci diverse non ti capiscono, non ti credono, si rivolgono altrove.

T – Mica vero. Cercano qualcuno che li stia a sentire, che si faccia coinvolgere e affronti, con loro, il problema da risolvere. Se quella persona è del PD significa semplicemente che avrà a disposizione i contenuti che la “rete PD” elabora e mette in comune. Questo è ciò che conta, anche per l'elettore.
P – Non puoi mettere al centro la singola persona, un partito è un insieme di persone, che pensano e agiscono come collettivo. E' un'organizzazione. A quella si rivolge l'elettore.
T – Certo. Un collettivo di persone. Un'organizzazione è un insieme di individui che cooperano. Si dividono i compiti e c'è chi, come te, assume incarichi. Viene scelto in base alle sue caratteristiche (e alle sue disponibilità) per farlo. E' importante però che la rete continui a funzionare come tale e che l'eletto non si separi e non si renda autonomo. La chiave è nella condivisione, non è affatto detto che ognuno la debba vedere allo stesso modo, perdendo la sua individualità.
P – Non è così, un partito ha una sua fisionomia, che prevale necessariamente su quella dei singoli che ne fanno parte, perfino su chi lo dirige. Il compito del “capo” è assicurare la sintesi e farsene portavoce, all'interno e all'esterno. Senza sintesi non c'è individuo che tenga.

UN PARTITO “OPEN SOURCE”?

T – Non ci siamo capiti. Penso anch'io che serva la sintesi. Ma non ci si arriva annullando le differenze. La sintesi non è repressione ma integrazione, valorizzazione. Non riduzione ad uno, come si diceva un tempo, ma crescita.
P – Ma se per te è solo un processo non ci sarà mai posto per un progetto. E la politica senza progetto è gestione dell'esistente o addirittura ritorno indietro. Quindi è politica di destra.
T – Ma no! Hai presente cos'è l'“open source” (creative commons è una sua stretta parente)? Mettere in comune i codici di un programma permette di svilupparlo attraverso il contributo collettivo di un gran numero di intelligenze, senza che nessuno sia proprietario del frutto di quel lavoro. E' una cosa di sinistra, no? Ebbene, secondo te sviluppare un programma non risponde a un progetto? Altro che! E l'obiettivo del progetto è sempre molto chiaro agli sviluppatori! Che sia un'enciclopedia o un elaboratore di testi, tutti sanno dove vogliono andare e condividono il punto di arrivo. Che si sposta via via in avanti finché c'è spazio di miglioramento.
P – Ma un progetto politico non può essere paragonato a Word! E' qualcosa di molto più complesso. Anche ridurlo a un mero tecnicismo, a un applicativo che funzioni meglio, è riduttivo ed è di destra!
T – Al contrario, più il progetto è complesso, più l'obiettivo si articola e si scompone in una molteplicità di risultati da raggiungere, meglio si adatta il modello aperto e orizzontale.
P - E' un'astrazione! Ti assicuro che dovendo fare i conti ogni giorno con una marea di complicazioni, interessi in conflitto tra loro, norme da rispettare, ogni secondo una scelta da fare, la condivisione e la rete orizzontale mi appaiono una pia illusione.


La responsabilità ultima è tua e solo tua. Per un partito è la stessa cosa. Purtroppo, però, in un partito come il PD non si riesce mai a capire di chi sia la responsabilità ultima. Guarda quello che sta succedendo con le primarie! Avanti, c'è posto per tutti! E il partito diventa marginale, non conta più niente, anzi, rischia di essere un handicap! E pensi che non ne pagheremo le conseguenze in termini di voti?

ALLA PROVA DELLE PRIMARIE

T – Bravo! Proprio le primarie! Come me lo spieghi che le scelte del nostro partito, che è il partito più grande del centro-sinistra, siano poi state respinte in tanti casi importanti dall'elettorato? C'era il vertice schierato, l'apparato si era pronunciato ma le primarie le hanno vinte altri candidati. A Napoli, a Milano, a Cagliari e, ora, a Genova!
P – Io la risposta l'ho già data. Perché in tutti quei casi il partito si era diviso, non c'era una guida né una fisionomia!
T – Sciocchezze! Per fortuna era diviso, così la sconfitta del candidato “ufficiale” non ha messo fuori gioco tutto il partito, che a Napoli e a Milano ha potuto recuperare...

P – A Genova non c'era un candidato ufficiale, se ci fosse stato avremmo vinto!
T – Ma va! La somma dei voti delle due candidate ha superato di pochissimo i voti di Doria che ha vinto, è chiaro come il sole che se anche fosse stata in lizza solo una delle due avrebbe perso (e la partecipazione sarebbe stata ancora più bassa). Il fatto, più banalmente, è che non erano, nessuna delle due, la candidatura vincente, quella che avrebbe convinto l'elettorato.
P – Ma no, la Vincenzi ha pagato per l'alluvione ma è stata un ottimo sindaco!
T – Vedi come la pensiamo diversamente! Secondo me un sindaco che ha fatto incazzare con il suo comportamento quelli che hanno subito i danni maggiori, che sia stata solo sfortunata o che abbia, come credo io, fatto errori clamorosi, in ogni caso se non ha la sensibilità di avvertire il peso del sentimento diffuso tra i suoi elettori e il dovere di trarne le conseguenze e farsi da parte non è affatto un buon sindaco. Altro che ”martire Ipazia”, si è creduta insostituibile, un errore che un politico non dovrebbe mai commettere
P – Sei ingeneroso, non era presunzione ma abnegazione e senso di responsabilità!
T – Vedremo il risultato delle elezioni, che è quello che conta. Ma allora ti chiedo: pensi che Boeri avrebbe governato Milano meglio di Pisapia? Che Cozzolino (con quello che è venuto fuori e che ha portato ad annullare le primarie) o anche il prefetto (sconosciuto ai più) che il PD ha tirato fuori dal cilindro all'ultimo momento avrebbero governato Napoli meglio di De Magistris? Mi dispiace che il PD non abbia vinto ma sono contento che abbia vinto il migliore, come in genere accade quando le primarie sono partecipate.
P - Mah, io non farei di questi sindaci degli eroi. Li sosteniamo, ok. E speriamo bene!
T – D'accordo, non mitizzo nessuno. Ma ti ho detto che il metodo di governo, lo “stile”, la condivisione, la rete, hanno un'importanza fondamentale, per me. Su questo, mi sembra che stiano tenendo fede alle premesse.

COME SI FA UNITA'?

P – Io penso che se all'elettore proponiamo un candidato indicato con chiarezza - e nella concordia – dal nostro partito, diamo un segnale che non può non essere apprezzato in un momento in cui la politica dà l'impressione di una Torre di Babele che non sa farsi capire ed è sospettata di non avere niente da dire.
T – Non lo credo. Ma dubito perfino che lo creda il partito. Pensa ai casi in cui il partito si divide e presenta più di un candidato. Immagina che si riveda il regolamento e si facciano prima le primarie di partito: pensi che gli iscritti che hanno votato il candidato risultato perdente si sentano poi obbligati a scegliere, nelle primarie di coalizione, per forza quello che ha vinto? Sai che non è così.
P – Può darsi, ma resto convinto che l'elettore non iscritto, quello con meno dimestichezza con le alchimie della politica, apprezzi il fatto che il partito faccia uno sforzo di chiarezza e di unità e dia un'indicazione. Libero di seguirla, ma...
T – I fatti hanno dimostrato il contrario. E non sapresti spiegarmi, nella tua logica, i casi in cui il partito dà indicazioni, più o meno ufficialmente, per un candidato esterno al PD contro candidati iscritti. Sta avvenendo a Palermo, è quello che era avvenuto in Molise.

P – Non saprei spiegartelo perché sono scelte che non condivido.
T – Dunque a Palermo appoggeresti il candidato PD (dell'area “liberal”) anziché la Borsellino.
P – Ma non c'è stato un percorso democratico interno al PD per individuare il candidato del partito.
T – Sai bene che quel candidato, di un'area del PD in cui non ti riconosci, non lo appoggeresti nemmeno se il percorso fosse stato il più democratico e più trasparente. E che in Molise non avresti appoggiato Frattura neanche se avesse aderito preliminarmente al PD e avesse vinto le primarie di partito. Allora contano le persone!
P – Contano le linee politiche e le proposte di cui sono espressione, non le persone in sé, non metto mica in dubbio le qualità di Frattura, o di Faraone a Palermo!
T – Non ti seguo su questo terreno. Se ti chiedessi quali sono i punti programmatici di Faraone che trovi meno convincenti rispetto alla Borsellino (ma il discorso potrebbe valere anche per Frattura) penso che nemmeno tu, che vivi di politica, sapresti spiegarmelo con chiarezza e mi sa che finiremmo a litigare.
P – Allora secondo te non c'è differenza tra una linea centrista, propensa a soluzioni liberiste, e una socialdemocratica, solidaristica che salvaguardi le conquiste dello stato sociale?
T – Le differenze ci sono, l'ho già detto, e sono ricchezza. Ma non si riducono a formule spesso prive di significato. E nessuno può dirsi depositario di una linea più di sinistra, così come non ci si può dire moderati o riformisti solo perché si fa l'occhiolino a Casini. In Molise poi ne ho viste di tutti i colori, le peggiori forme di accondiscendenza e di opportunismo verso il sistema di potere di Michele Iorio” spacciate per un modo per “tenere alte le bandiere della sinistra”
P – Non puoi accusare di opportunismo chi sceglie il compromesso, in politica spesso la soluzione sta nello scegliere il male minore. Non difendo tutte le scelte e tutti i dirigenti ma il giudizio deve essere dato in base alle circostanze e ai vincoli, non in astratto. Oppure si cade nel moralismo e nel giustizialismo. L'importante è che ci sia una bussola per orientare le scelte.

QUALITA' DELL'OFFERTA POLITICA E ANTIPOLITICA

T – Bravo, sottoscrivo. E qual'è questa bussola? La trovi in qualche trattato, o negli slogan alla Gaber, per distibguere tra destra e sinistra, o nelle professioni di fede dei … “professionisti” del richiamo ai valori, per gabbare gli allocchi? No, è il giudizio condiviso l'unica bussola. Un giudizio costruito con i protagonisti, con chi è toccato dai problemi, con chi ha le competenze per passare in rassegna le soluzioni e fornire elementi di valutazione. Condividendo certo i valori di fondo ma mettendoli alla prova del confronto democratico. Questo secondo me è di sinistra, non gli slogan.
P – Pia illusione, te l'ho già detto. Dovìè, del resto, tutta questa partecipazione, questi protagonisti dove li vedi. Le riunioni vanno deserte, c'è una passivizzazione dilagante. Sarebbe bello, forse, ma tu vedi un mondo che non esiste!
T – Ascolta, c'è più passione e competenza in un elettore di sinistra mediamente informato che nella media dei professionisti della politica. Senza offesa, non mi riferisco a te.
P – Magari, io non parlo della passione che si esprime nei discorsi da bar ma di quella che si traduce in un impegno, di partecipazione attiva alla vita politica.
T – Ma quale vita politica viene proposta ai cittadini? Offri occasioni di confronto sulle questioni che stanno a cuore ai cittadini ed hai risposte strabilianti! Oggi poi c'è il web, le occasioni si moltiplicano anche nel mondo virtuale. Invece le sedi di partito restano chiuse e si aprono solo per rituali bizantini che ruotano tutti e solo sulle dinamiche tra i dirigenti per l'occupazione (o la spartizione) delle posizioni di potere.
P – Certo, i partiti sono in crisi, il berlusconismo ha compiuto un'opera micidiale di spoliticizzazione. Spesso vivo il mio ruolo nella solitudine se non nell'isolamento. Sto in mezzo alla gente dalla mattina alla sera, mi occupo dei loro problemi, ma le decisioni le prendo da solo e le critiche me le becco tutte sulle mie spalle. Altro che spartirsi il potere, la regola è scaricare le rogne!
T – Vedi, vi lamentate della scarsa partecipazione ma non fate nulla per un'offerta politica più attraente.
P – Si, sappiamo bene che all'origine dell'antipolitica c'è lo spettacolo miserevole che ha offerto la politica in molte occasioni. Sappiamo che vent'anni dopo Tangentopoli la Seconda Repubblica appare un fallimento, una grande occasione perduta. Ma il PD ha fatto la sua parte, a parte singoli episodi, qualche volta anche gravi ma sempre censurati dal Partito che non li ha mai “coperti”. Non merita perciò di essere accomunato in una critica indistinta.
T – Sei sicuro che il PD abbia fatto abbastanza per distinguersi? Che la colpa sia degli elettori che non si sforzano di capire?

P – Ma ti ho detto che la spoliticizzazione è il frutto avvelenato del berlusconismo, venti anni di campagna, non contro gli errori e i misfatti della politica ma contro la politica e contro lo Stato, hanno lasciato il segno. Oggi dobbiamo ricostruire la passione, l'impegno civico!

I FIGLI SI RIBELLANO

T – Ecco, fermiamoci qui, su un punto che ci vede d'accordo. Anche perché ci reclamano mogli e figli. Dobbiamo ricostruire la cultura dell'impegno. Aggiungo: ma anche i luoghi dove possa manifestarsi. Restiamo in disaccordo sul fatto che è la politica che deve cambiare per prima. E deve accorgersi di quello che si muove, nella realtà, non nei pii desideri, per ristabilire un canale di comunicazione, adeguato alla domanda di politica che c'è e che non trova soddisfazione. Invece di tornare indietro sulle primarie scegliete candidati migliori. Invece di riunirvi solo per gli organigrammi mettetevi al servizio dei movimenti. Provate ad arrivare per primi sui temi, come per l'acqua, invece di cincischiare prima di capire da che parte stare. Ascoltate, non vi isolate e poi vedrete che non vi sentirete soli!
La conversazione è finita tra le proteste delle mogli. “Ma ve la piantate di isolarvi, per parlare di politica!”. I figli avevano giocato tutto il tempo con le palle di neve e avevano trovato un nuovo bersaglio su cui concentrarsi. I padri che, finalmente, uscivano all'aperto.