La
condanna di Iorio è un altro segno della fine di un ciclo politico.
Per quanto il centro-destra possa tardare a trarne le conseguenze, il
centro-sinistra sarà presto chiamato a responsabilità di governo.
QUALI RISPOSTE AI GRAVI PROBLEMI DEL MOLISE?
Torniamo al programma elettorale. Approfondiamo i dossier. Sulla politica economica e del lavoro, sulla sanità e i servizi, sulle infrastrutture e l'ambiente.
QUALI PROPOSTE DI POLITICA ECONOMICA E DEL LAVORO?
Continuiamo l'approfondimento. Dopo la vicenda dello Zuccherificio questa settimana ci occupiamo di Solagrital.
Anche qui incombe un fallimento (un'udienza si è già tenuta, rinviata a breve). Quello di Arena.
Anche in questo caso, non una questione tra le tante di cui si deve occupare la Regione. Una storia quasi ventennale in cui si rilegge la politica molisana.
Dedicata a chi vuole essere informato e farsi un'opinione. In due puntate.
QUALI RISPOSTE AI GRAVI PROBLEMI DEL MOLISE?
Torniamo al programma elettorale. Approfondiamo i dossier. Sulla politica economica e del lavoro, sulla sanità e i servizi, sulle infrastrutture e l'ambiente.
QUALI PROPOSTE DI POLITICA ECONOMICA E DEL LAVORO?
Continuiamo l'approfondimento. Dopo la vicenda dello Zuccherificio questa settimana ci occupiamo di Solagrital.
Anche qui incombe un fallimento (un'udienza si è già tenuta, rinviata a breve). Quello di Arena.
Anche in questo caso, non una questione tra le tante di cui si deve occupare la Regione. Una storia quasi ventennale in cui si rilegge la politica molisana.
Dedicata a chi vuole essere informato e farsi un'opinione. In due puntate.
PREMESSA
- 1)
IL
DOPO IORIO SI AVVICINA A GRANDI PASSI
Iorio
ha commesso il fatto e non lo nega.
La
sua difesa nega che il fatto commesso configuri un reato.
Non
solo tutti coloro che in queste ore hanno espresso solidarietà
(prima sul traguardo l'on. De Camillis), ma anche quelli che tacciono
e non lo invitano a dimettersi ritengono. come lui, che il fatto
commesso non sia reato.
Si
configura perciò UNA QUESTIONE POLITICA, ben prima che giudiziaria.
Quale concezione dell'etica pubblica dimostra di avere chi considera
normale, “corretto”, perfino “nell'interesse della
collettività” (così dichiara Iorio) affidare incarichi per
centinaia di migliaia di euro alla società che ha assunto il figlio.
Per un rapporto che non ha neppure fatto finta di produrre?
Se
resterà abbarbicato a quella poltrona trascinerà con sé nel
baratro la sua compagine che si è dimostra sodale, SENZA ECCEZIONE
ALCUNA. Per quanto? Fino al 17 maggio? Che ne pensano i suoi
successori in lotta, i vari Pietracupa, Vitagliano, Di Sandro,
Chieffo?
Il
centro-sinistra deve prepararsi a governare senza più esitazioni o
furbizie. Chi ha teso la mano, strizzato l'occhiolino, cercato
alleanze trasversali faccia un passo indietro. Con quella politica,
non c'è più spazio per compromessi.
PREMESSA
- 2)
TORNARE
AL PROGRAMMA. IN UN QUADRO ANCORA PEGGIORE
Si
deve tornare al programma elettorale di Paolo Frattura. Per ripartire
da lì e andare avanti alla luce dell'evoluzione dei problemi da
affrontare. Un'evoluzione tutta negativa: in pochi mesi si sono già
accumulati nuovi disastri. Ne abbiamo parlato in post precedenti,
l'ultimo dei quali dedicato alla vicenda dello Zuccherificio,
riassunto della miseria della politica molisana. Decine di milioni di
euro gettati alle ortiche dopo essersi lasciati scappare l'occasione
d'oro dei finanziamenti comunitari per la riconversione. Con l'alibi,
che torno a definire ignobile, della difesa del “posto di lavoro”.
La
politica economica e occupazionale è una priorità assoluta. C'è
bisogno di aiutare una ripresa che significhi creazione di ricchezza,
di posti di lavoro, di servizi pubblici e abbattimento della povertà
e delle diseguaglianze.
APPROFONDIRE
I DOSSIER
POLITICA
INDUSTRIALE E DEL LAVORO.
UN'ALTRA
STORIA DA NON DIMENTICARE – SOLAGRITAL-ARENA
Continuiamo
dunque nell'approfondimento dei dossier. Un altro fallimento
eclatante incombe, oltre a quello che si discute il 27 febbraio per
lo Zuccherificio. Quello del Gruppo Arena, da cui dipendono le sorti
della filiera agricola e in primo luogo della Solagrital e degli
allevatori. Il 15 febbraio si è già tenuta la prima udienza,
rinviata al 12 aprile per l'esame della documentazione fornita da
Arena.
Che
sta succedendo? Quale sorte attende i lavoratori di Bojano e del
Molise centrale? Che fine faranno le enormi risorse finanziarie che
la regione ha riversato per scongiurare la chiusura di uno
stabilimento e di una filiera decisiva per quell'economia?
La
storia parte da lontano. Inquadrarla a dovere non è semplice perché
si intreccia con l'alta finanza, anche internazionale, con la
concorrenza dei mercati globalizzati, senza dimenticare gli effetti
di fenomeni apparentemente lontani come l'influenza aviaria in
Estremo Oriente. Ma in fin dei conti, dopo aver percorso una via
apparentemente tortuosa, ci si ritroverà a parlare molisano. A
guardarsi allo specchio. Per scoprire, di nuovo, il volto della
politica molisana e delle sue miserie.
ANTEFATTO
- 1994
LA
CRISI SAM - ARENA – COME SALVARE LA FILIERA MOLISANA
Dobbiamo
dunque riavvolgere il film della crisi attuale e andare all'inizio
della storia.
Il
punto di partenza possiamo fissarlo al 1994, quando entra in crisi il
Gruppo Arena, di proprietà di una famiglia veronese, secondo
produttore avicolo italiano (dopo AIA), con due stabilimenti, uno in
Veneto e uno a Bojano. La strada del fallimento sembra segnata, la
resistenza nell'area veronese è debole (AIA sembra offrire valide
alternative agli allevatori), si pone il problema della sorte dello
stabilimento di Bojano (quello di Verona chiuderà in breve tempo).
Per
dare un'idea della situazione del mercato, AIA veleggiava al di sopra
dei due milioni di polli a settimana (con una produzione concentrata
nella pianura padana), Arena poco oltre il milione, per un po' meno
della metà lavorati a Bojano; seguiva quindi, sotto al milione,
Amadori, che dalla Romagna si era spinto più a sud con uno
stabilimento nel teramano.
Quale
strada fu scelta allora? Le alternative erano ridotte a due (più una
variante): lasciare andare Arena verso il fallimento, affidando le
speranze di ripresa alla capacità dei liquidatori di vendere
l'attività a qualche imprenditore intenzionato a rilanciare lo
stabilimento di Bojano; ovvero, individuare un “salvatore” pronto
ad acquistare, prima del fallimento, il marchio e le attività
molisane (stabilimento e contratti di fornitura con gli allevatori),
dismettendo quelle veronesi. La variante consisteva nella possibilità
che la politica entrasse nell'operazione salvataggio, con risorse
finanziarie e/o normative.
UN'OPERAZIONE
DI SALVATAGGIO ALL'INSEGNA DELLA “MOLISANITA'”
CON
VINCOLI POLITICI E SINDACALI.
Contro
il fallimento si mosse uno schieramento molto vasto di forze sociali
e politiche. Si deve tenere conto del fatto che contemporaneamente si
era aperta una crisi seria allo stabilimento Fiat di Termoli dove
l'azienda, per ottenere l'introduzione di tre turni supplementari il
sabato, minacciava di spostare la nuova linea dei motori negli
stabilimenti polacchi (primo caso, apripista di una serie di vicende
successive le cui cronache hanno avuto ampia eco). Il collasso
simultaneo di Arena e Fiat avrebbe messo in ginocchio la regione.
Occorreva
dunque lavorare perché giungessero proposte di acquisto da
imprenditori affidabili PRIMA che gli avvenimenti precipitassero, in
modo da scongiurare una chiusura i cui tempi sarebbero stati
imprevedibili e i danni incalcolabili. Cassa integrazione a zero ore
per i dipendenti, quindi meno reddito e incertezza sul posto di
lavoro. Ricerca di sbocchi alternativi per gli allevamenti, con le
incertezze che ciò comportava ma anche con l'entrata in campo dei
concorrenti di Arena che avrebbero potuto impedire sul nascere ogni
speranza di rilancio della filiera avicola molisana.
Non
ci si limitò tuttavia a questo. Intervennero altri due fattori: le
condizioni sindacali (contrattuali) e quelle politiche.
Sindacali:
il contratto in vigore a Bojano era quello dell'industria alimentare,
mentre la concorrenza applicava quello dell'agricoltura (meno
oneroso). Il privato che si era fatto avanti, Amadori (che
scommetteva su una sinergia Bojano-Teramo nel rapporto con gli
allevatori e nella logistica) poneva come condizione il contratto del
gruppo (operai agricoli, non industria).
Politiche:
lo stabilimento di Bojano era stato gestito con le modalità tipiche
degli insediamenti nel Mezzogiorno, in stretta simbiosi tra impresa e
politica (DC): su assunzioni, ruoli di vertice, forniture di servizi
gravava il peso di un ferreo “consociativismo” se non di veri e
propri diktat dei potentati locali.
Si
andò quindi alla ricerca di un diverso imprenditore che fosse
disposto ad investire alle condizioni politiche e sindacali del
passato (Amadori non lo era) in cambio di un apporto di risorse
pubbliche. La formula che doveva nobilitare questo scambio era quella
della “salvaguardia della molisanità” e il “cavaliere bianco”
che apparve all'orizzonte era Dante Di Dario, proveniente
dall'esperienza del sodalizio con la famiglia Patriciello nella
Neuromed di Pozzilli. Il piano industriale faceva un passo in più
sulla molisanità: puntava su un legame tra marchio Arena e marchio
Molise. Regione agreste, garanzia di genuinità, per un rilancio del
pollo molisano come pollo di qualità rispetto a quello dei
concorrenti.
UN'OPERAZIONE
DI SALVATAGGIO CON MOLTE ALCHIMIE FINANZIARIE E MOLTA INGEGNERIA
SOCIETARIA.
Mettere
in luce questi vincoli, di natura politica e sindacale, è necessario
per comprendere l'evoluzione successiva e in particolare le soluzioni
di ingegneria societaria (e le alchimie finanziarie) che furono
allora adottate e che sono alla base della situazione odierna.
Per
illustrarle, occorre partire da una valutazione di quali fossero i
punti di forza di Arena che potevano rendere appetibile l'acquisto
anche senza la metà “storica”, quella veneta. In primo luogo il
marchio, ben distribuito, ben introdotto nella Grande Distribuzione e
pubblicizzato a dovere, non solo per il pollo “morto” ma anche,
se non più, per quello lavorato, in particolare surgelato. In
secondo luogo la logistica, verso il mercato meridionale. Infine, si
è detto, il possibile abbinamento al territorio.
Punti
di debolezza erano invece dati dai costi di produzione non
competitivi. Sia per un maggior prezzo locale dei mangimi sia per i
costi di gestione, gravati, rispetto alla concorrenza, dai vincoli a
cui abbiamo accennato: il peso di un contratto di lavoro più oneroso
(quello industriale) e il sovrappiù di management intermedio e di
servizi “non essenziali” imposto dalla politica.
La
soluzione di ingegneria societaria fu trovata conferendo ad una
holding la proprietà del marchio, la distribuzione del prodotto e le
attività a valle a più elevato valore aggiunto. Accanto a questa,
una newco, una cooperativa agricola di nuova costituzione, avrebbe
preso su di sé il ciclo di lavorazione, dal pollo vivo a quello
morto e ai prodotti confezionati.
Si
sperimentava in sostanza (Di Dario dimostrava di avere una certa
genialità in questo campo) uno schema che nel corso degli anni, da
allora, avrebbe preso piede largamente: scorporare le attività a
bassa o nulla redditività in una “bad company” per concentrare
in una società-scrigno le attività a maggiore valore aggiunto. La
definizione della Solagrital (ovvero della società cooperativa a
responsabilità limitata a cui sono state conferite le attività
dello stabilimento di Bojano) come “bad company” potrà
dispiacere. E' assai difficile però contestarne la giustezza. Ma di
questo parleremo in seguito.
Quale
calcolo di convenienza abbia portato il sistema politico a sposare
questa soluzione e a garantire tutto l'appoggio necessario – quasi
una polizza di assicurazione – alla “bad company”, su cui si
sarebbero concentrati i rischi imprenditoriali, garantendo invece
piena libertà imprenditoriale al “salvatore” è il tema con cui
oggi è chiamata a fare i conti la politica molisana.
UNO
SCHEMA CHE HA FATTO SCUOLA. SOCIALIZZARE LE PERDITE E PRIVATIZZARE I
PROFITTI. CON UN RISVOLTO SINDACALE ...
Se
svolgiamo rapidamente il film di questa storia da allora ai giorni
nostri vediamo come la soluzione abbia retto solo per qualche anno,
per precipitare non appena un fattore esterno come l'influenza
aviaria ha portato a una severa selezione dei concorrenti sul mercato
(quello mondiale così come quello italiano) in cui avevano un peso
decisivo i differenziali di produttività. Da allora (2005) non ha
più retto fino a portare la politica a doversi fare carico non solo
della bad company ma anche della stesso “scrigno del tesoro”. Il
temuto collasso che oggi deve essere fronteggiato non riguarda più
solo Solagrital ma la stessa Arena.
Sulla
storia di questa evoluzione torneremo nella prossima puntata.
Guardando ai fatti così come sono stati registrati nei documenti
ufficiali della società, per gli aspetti gestionali, e della Borsa,
per quelli finanziari, almeno da quando Arena è una società
quotata.
Prima
di svolgere quel film è necessario però dedicare ancora un po' di
attenzione al ruolo della politica e del sindacato nella vicenda.
Come
– e in che misura – si sia protratto nel tempo lo schema
consociativo è un tema che lascio per ora da parte (lo rimetto alla
fantasia e alle conoscenze dirette dei lettori). Dobbiamo porci però
una domanda: se il sistema politico ha nel complesso sposato quelle
soluzioni, quale posizione hanno assunto i sindacati? Si sono
distinti? Si sono opposti? E, se non lo hanno fatto – come in
effetti è avvenuto – quale calcolo li ha mossi, quale strategia
hanno seguito?
Ebbene,
il sindacato ha a più riprese espresso posizioni di critica e
perfino di denuncia rispetto alle scelte che stavano prendendo piede.
Ma ha sostanzialmente accettato, o subito, che si dividessero, con le
società, anche le sorti dei lavoratori. Per salvaguardare i livelli
salariali (ED I DIRITTI) di chi era dentro fu sostanzialmente
avallata una soluzione con cui si abbassavano salari e tutele dei
nuovi assunti, oltre che di quelli, tra i “vecchi”, con meno
potere contrattuale (perché precari o perché neo-assunti o perché
“meno protetti”).
So
bene che il tema della divisione tra insider e outsider è un tema
abusato; che se ne è fatto argomento per sostenere tesi a mio parere
insostenibili. Tuttavia non può essere risolto con un colpo di
spugna. Lo schema adottato allora (un po' come quello della “bad
company”, di cui è parente) ha fatto da modello per un'infinita
serie di soluzioni. In primo luogo nell'area pubblica: dalle
cooperative dell'assistenza infermieristica o dei servizi ospedalieri
di minore complessità, a quelle dell'assistenza sociale, spesso
coperte dalla foglia di fico della sussidiarietà (volontariato,
terzo settore). Dall'esternalizzazione dei servizi scolastici a
quella delle attività di custodia e guardiania. Un campionario
sterminato di interventi con il bisturi per separare le sorti dei
contrattualizzati stabili da quelle degli esclusi, dei deboli, dei
nuovi. Con rapporti anche di 1 : 2 tra i redditi per le stesse
mansioni.
Che
sia diventata prassi comune, attenua forse le responsabilità per
avere avallato quella soluzione? Penso di no, e nel dirlo sento
quasi,
avendo vissuto personalmente la vicenda, di
dover onorare un debito,
proponendo una riflessione, attraverso una
ricostruzione degli errori di allora. Perché l'errore si è
protratto nel tempo e proietta la sua ombra sui problemi odierni.
Una
riflessione, voglio aggiungere, che serva anche a sgomberare il campo
dalle molte ipocrisie che accompagnano questo argomento. E' giusto,
credo, sostenere che abbassare le tutele ai più protetti non
comporta che aumentino per i meno protetti, ma all'ombra di queste
obiezioni finisce per essere adottata la soluzione di lasciare le
cose come stanno, senza penalizzazione, per quelli che sono dentro,
lasciando che qualche concessione venga fatta per chi dovrà essere
assunto da domani in poi. L'alibi è l'impossibilità di trovare
soluzioni che non siano a danno o degli uni o degli altri. Invece
un'alternativa esiste e il caso tedesco lo dimostra. E' possibile
accettare un patto in cui le tutele diminuiscono – temporaneamente
– per tutti in cambio di un aumento – nel tempo - sia di
occupazione che di salario che di potere (leggi, democrazia
economica) per tutti e non solo per gli anziani.
E
non è affatto vero che un patto di questo genere sia inesigibile,
che lasci tutti i rischi sulle spalle dei lavoratori senza che
l'imprenditore ne debba pagare alcuno. Un patto, per un sindacato che
fa il suo mestiere, è fatto di dare e avere, di concessioni e di
contropartite, che pareggino il conto. Ma fare il proprio mestiere
per un sindacato significa contrattare essendo forte della
consapevolezza del proprio potere contrattuale. Potere che poggia
soprattutto sulla condivisione da parte dei lavoratori (della “base”)
di quella stessa consapevolezza della propria forza, sul consenso che
su quelle basi sono disposti a concedere e sull'affidabilità di chi
è delegato a trattare. Quando queste condizioni, o anche solo una di
esse, viene meno allora sì che NESSUN PATTO è esigibile. Mi lascia
interdetto un sindacato che, in alcune sue componenti, dimostra di
considerare qualsiasi accordo come una trappola, una bufala, e si
appella alla politica o alla magistratura per sopperire a una
debolezza che non ritiene di poter superare altrimenti, con le sue
sole forze.
ANTICIPIAMO
QUALCHE CONCLUSIONE. UNA POLITICA ARROGANTE CHE SI CONSIDERA
AUTORIZZATA AD AGIRE AL DI SOPRA DI QUALUNQUE CONTROLLO. CONTRO LE
LEGGI DELLA DEMOCRAZIA E QUELLE DELL'ECONOMIA
Chiedo
venia per questa digressione forse troppo legata al vissuto
personale. Torniamo al film Arena – Solagrital che abbiamo
riavvolto al 1994, al momento in cui è stato fissato l'imprinting,
lo schema iniziale su cui la nuova iniziativa si è modellata con un
segno che è rimasto indelebile fino ad oggi.
Voglio
però anticipare la conclusione cui ci porterà, nella prossima
puntata, la storia della vicenda fino ai nostri giorni.
Oggi
(per essere più precisi, dal 2008) la situazione è precipitata. Non
c'è solo l'istanza di fallimento. C'è un affannoso rincorrere la
situazione, si cerca di valutare, dagli estratti contributivi, quanti
accompagnamenti all'esodo siano “sopportabili”, ci si rimpallano,
tra i diversi soggetti coinvolti, ipotesi di conversione dei debiti
in capitale, o di ristrutturazione dei debiti stessi, o di ulteriori
immissioni di denaro per ricapitalizzare, in realtà al solo scopo di
tacitare i fornitori senza uno straccio di speranza di poter
investire per ammodernare, promuovere il prodotto, rilanciare la rete
di distribuzione ecc. ecc.
La
conclusione da trarre accomuna questa storia, in un gemellaggio
perfetto, a quella dello Zuccherificio. La politica si è ficcata in
un vicolo cieco per aver scelto una soluzione sbagliata sin dalle
mosse iniziali. Per essersi sentita autorizzata ad investire il
potere, che gli deriva dalle risorse pubbliche di cui può disporre,
per mettere al riparo le aziende da salvare dalle incertezze e dai
rischi di un'impresa economica. Una scelta proterva, priva di
qualunque base di realismo e incurante delle regole elementari della
democrazia.
Il
potere politico può, certamente, amministrare in prima persona e
gestire l'erogazione di servizi e di beni di cui vi sia pubblica
necessità, che siano avvertiti come “di pubblico interesse” o
“comuni” come oggi si suole dire. Le discussioni – stucchevoli
– sul binomio privato / pubblico in una vicenda come questa non
sono pertinenti neanche un po'. Né lo zucchero né il pollo sono
beni comuni.
Il
bene che è stato elevato al rango di pubblico interesse dal potere
politico regionale è il consenso dei soggetti che corrono il rischio
di essere investiti direttamente dalle crisi. In nome di quello sono
state impegnate risorse ingenti in un'operazione di riconversione
sostituendosi nel ruolo che un soggetto imprenditore sostiene A SUO
RISCHIO E PERICOLO per il suo profitto senza adottare le cautele a
cui quello è invece vincolato.
Precetti
elementari messi sotto i piedi. Risorse pubbliche ingenti impegnate
in iniziative di cui non era in condizione di valutare l'esito. Prima
che per incapacità, per voluta omissione. Prima che per stupidità e
ignoranza, per protervia e arroganza.
Compiuta
questa scelta politica, come tale insindacabile, “sovrana”, ad
ogni successivo passaggio “temerario” sono via via aumentati i
prezzi da pagare: quelli economici e quelli politici, di democrazia.
Passo dopo passo aumentava la dipendenza da valutazioni sempre più
di parte per avallare scelte sempre meno assennate. Come il tossico
che di dose in dose vede aumentare la sua dipendenza, come la vittima
degli usurai che di prestito in prestito vede la “cravatta”
stringerglisi attorno al collo.
Nelle
battute finali, lo si è visto per lo Zuccherificio con la decisione
di azzerare gli organi societari e lo si vedrà per Solagrital (e
Arena) con il tentativo di rompere la dipendenza funzionale su cui
era stata costruita la “bad company”, il dramma della corsa verso
il precipizio è sembrato finalmente offrirsi agli occhi dei
protagonisti! Ma il consenso frana, lo ha rivelato il 16 ottobre e si
vedrà ancora il 17 maggio. Il mercato punisce e il tribunale
fallimentare incombe. I corsi azionari crollano. I milioni e milioni
di euro pompati senza criterio in queste avventure stanno togliendo
alla Regione ogni margine di autonomia finanziaria e quindi politica.
Infine, leggi dello stato dichiarano il sovrano ineleggibile e la
magistratura giudicante sentenzia la sua interdizione da ogni
pubblico ufficio. E' il tramonto, in una regione che vorrebbe
risorgere per vedere l'alba di un nuovo giorno.
Ma
c'è sempre qualcuno pronto a dichiarare che il prezzo dello zucchero
sui mercati mondiali è in salita e i costi di produzione del pollo
molisano in procinto di calare drasticamente. Pronto a giurare sul
lieto fine e accusare di disfattismo chi guarda in faccia la realtà.
E qualcun altro pronto a tendere una mano, a sollecitare un tavolo,
ad appellarsi a qualche Commissario europeo per evitare la catastrofe
che di tavolo in tavolo, Commissario dopo Commissario, è stata
preparata e portata a compimento. Sono fenomeni tipici,
ineliminabili, nelle battute finali della caduta di un regime.