Come reagire alla caduta dei redditi
di lavoratori e pensionati.
Per andare all’origine di questo
fenomeno drammatico in cui si riassume il declino del nostro paese: come è
potuto succedere?
Nelle due puntate precedenti si sono
passate in rassegna le risposte correnti a questa domanda ma ci si è anche
chiesti se i sindacati potevano fare di più. Se non aver attuato la
Costituzione (art. 39) su rappresentanza e unità non abbia comportato un prezzo
troppo alto. E se la rottura odierna attorno al rapporto con la politica non
abbia contribuito a deprimere il potere contrattuale.
In questa ultima puntata si passa a
un terreno concreto. Quello della difesa dei lavoratori precari. Per esaminare
le ragioni di una iniziativa del tutto inconcludente.
E per immaginare un’alternativa.
Possibile.
I REDDITI DEI LAVORATORI SCENDONO
INESORABILMENTE. CHE C’E’ DA FESTEGGIARE IL PRIMO MAGGIO?
Concludiamo
con questa terza puntata il discorso sulla perdita
progressiva di potere di acquisto dei redditi dei lavoratori e dei pensionati.
Nelle
precedenti puntate ho lamentato che non ci si domandi – almeno, non quanto
sarebbe necessario di fronte a una tragedia sociale di questa portata - come sia potuto succedere ed ho passato
in rassegna le spiegazioni che vengono date comunemente: la globalizzazione (lo squilibrio tra il potere della grande finanza, globale, e le politiche nazionali ovvero, secondo
altri, il livellamento dei redditi da lavoro - per una sorta di legge dei vasi comunicanti nel mercato globale -
tra paesi ricchi e paesi emergenti); la destra
radicale al governo su scala nazionale (e europea) e la sua politica classista
contro i lavoratori per caricare sulle loro spalle il peso della competizione
globale; la debolezza dell’opposizione;
l’egoismo corporativo delle rappresentanze
imprenditoriali.
Ho
poi sostenuto che non ci si può accontentare di queste risposte senza chiedersi
anche se i sindacati abbiano fatto tutto
il possibile per impedire questa deriva (se non altro, per portare gli
imprenditori a giocare un altro ruolo).
Ho
quindi affrontato, nella seconda puntata, il tema della perdita di potere
contrattuale dei sindacati in relazione alla mancata attuazione della
Costituzione (articolo 39) quanto a regolazione della rappresentanza e unità,
con la conseguente assenza nel nostro ordinamento di un riconoscimento formale della validità erga omnes dei
contratti. Cosicché attualmente chiunque, una volta costituitosi come sindacato,
può stipulare accordi con le controparti a prescindere dal suo peso organizzato
e dalla sua rappresentatività, laddove la Costituzione richiedeva che “fossero rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti” come condizione
perché i contratti collettivi di lavoro da loro stipulati avessero “efficacia
obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto
si riferisce.”
In particolare, essendo assai complessa la storia
della mancata attuazione di questo articolo della Costituzione, mi sono
limitato a ricordare come, in un tempo più recente, sia stata accantonata
perfino la soluzione con cui si erano congelati i rapporti tra i sindacati,
riassunta nella formula dell’unità d’azione, che pure aveva retto all’onda
d’urto della vicenda scala mobile, passando ad una rottura aperta (con qualche
timido segnale di riavvicinamento solo negli ultimi mesi, contro il governo
Monti).
Ho infine rimarcato che le ragioni della rottura
riguardano l’interpretazione del ruolo del sindacato nei rapporti con le
istituzioni e con le forze politiche. Dunque, un tema che dovrebbe appartenere
alla tattica, mentre ha avuto il sopravvento sul fine strategico, la tutela
degli interessi dei lavoratori. Non a caso, anziché marciare divisi per colpire uniti (come potrebbe
avvenire se si trattasse di una rottura tattica), perfino quando sembrano
marciare uniti, sono pronti a dividersi nel momento cruciale, quello in cui
sono chiamati a colpire.
LA DIFESA DEI LAVORATORI PRECARI. TEMA
CENTRALE, INIZIATIVA INCONCLUDENTE
In
questa parte conclusiva mi sono ripromesso di approfondire un tema specifico
per tentare di calare il ragionamento svolto fin qui in un contesto più
concreto: la difesa dei lavoratori precari. Non solo perché è comunemente
assunto come tema centrale ma anche perché, a mio parere, vi si può ritrovare
un bandolo della matassa aggrovigliata di cui stiamo parlando. Quasi un
riassunto, un concentrato in cui si specchia la situazione nel suo assieme.
Parto
dal presupposto, già enunciato nel post precedente, che non si debba commettere
l’errore di pensare che la strada della difesa dei più deboli passi per una
minore tutela dei più forti. Viceversa i più forti devono assumere con grande
decisione la causa dei non tutelati e rimboccarsi le maniche per dar loro tutto
il sostegno di cui hanno bisogno, altrimenti la loro debolezza, crescendo,
minerà alla radice anche le loro posizioni attuali, come di fatto sta avvenendo.
E’
diffusa, nella cultura e nella pratica sindacale, questa convinzione? E’ ben
radicata? Direi di no. Nella mia (alquanto lunghetta) esperienza sindacale mi
sono trovato fin troppe volte a dover vincere una resistenza tenace, a cui
corrispondeva un pregiudizio culturale molto tenace, su questo tema.
Non
parlo della necessità di organizzare i disoccupati, difficili da intercettare. Certo,
guardando le serie storiche del tesseramento ci si rende conto però di quanto
debole sia lo sforzo in questa direzione. A questo riguardo, tuttavia, quella
che colpisce è l’assenza assoluta di esempi di iniziativa generale, ampia, convinta,
propositiva, dopo la stagione del Patto
per il Lavoro con cui Di Vittorio
inaugurò il nuovo corso del sindacalismo CGIL dopo la guerra.
Ma
al di là del tema, più impegnativo, dei disoccupati, qui mi riferisco alle
resistenze che ho incontrato ogni qualvolta si trattava di organizzare i
precari, quelli impegnati all’interno stesso del posto di lavoro. C’è stata
spesso da vincere una battaglia. Non potete immaginare quante volte mi sono
sentito dire: “Non è il caso di dar loro la tessera, ‘ché potrebbero
considerarla come una sorta di impegno per l’assunzione”. Paradossale, no?
Ebbene,
credo proprio di poter dire che verso questa cultura, questa diffidenza, c’è
stata come minimo condiscendenza da parte delle strutture sindacali di base ma
anche disattenzione delle confederazioni, territoriali e nazionali.
Parlo,
per esperienza diretta, della CGIL (ma le altre sigle hanno di che interrogarsi
sugli errori commessi). Potrei portare un gran numero di esempi ma mi limito a
citare solo il terremoto che ha sconquassato il mondo della sanità dall’inizio
degli anni Novanta. Allora, quando doveva crescere negli ospedali l’offerta sia
di servizi qualificati da parte di personale infermieristico sia di servizi “alberghieri”,
senza far lievitare i costi, si è by-passato il vincolo contrattuale,
relativamente oneroso, con un’invasione di cooperative sociali, il cui
personale era sottopagato e soggetto al ricatto dei licenziamenti (con un tasso
di sindacalizzazione, inevitabilmente, molto più basso). Ma non ne hanno pagato
le conseguenze anche i dipendenti pubblici?
UN CASO CONCRETO. UN’ASSOCIAZIONE DI LAVORATORI
PRECARI.
Le
cose non sono cambiate negli ultimi anni. E’ stata forse adottata un’altra
politica da quando la precarietà è diventata il centro di ogni discorso sul
lavoro? Non credo. Per andare ancor più su un terreno concreto porto un esempio
molto recente. Riguarda la vicenda della riforma del lavoro.
Prendo
spunto dall’attività di un’associazione - si chiama “XX maggio-flessibilità
sicura” - che si è costituita dal 2007 all’interno del Forum Lavoro del PD, con
l’obiettivo di combattere la precarietà e di affermare una civiltà delle
condizioni di lavoro anche nei contesti più flessibili.
Ha
un sito Internet, promuove iniziative varie (convegni, manifestazioni, pubblicazioni)
è presieduta da un “sindacalista di lungo corso” CGIL, oggi Consigliere presso
il CNEL (Aldo Amoretti, già segretario generale dei tessili, del commercio) e annovera
tra gli animatori più attivi un altro sindacalista, attivo presso il
Dipartimento economico del Centro confederale (Davide Imola).
Per
il tramite del Forum Lavoro questa Associazione ha indirizzato al Gruppo PD in
Commissione Lavoro del Senato (che ha il compito di esaminare gli emendamenti)
una serie di proposte di modifica del testo del Governo. Riguardano, in sintesi,
l’introduzione di vincoli di qualifica (escludere tutte le mansioni esecutive)
e di minimi salariali, cioè della contrattazione collettiva.
Vi
è previsto un meccanismo di garanzia per ottenere questo risultato in modo
certo e stabile: l’aumento delle aliquote contributive già previsto dalla
riforma (buona idea, a condizione che il maggiore onere non si scarichi sui
compensi) scatta solo dopo che un
accordo collettivo avrà fissato i minimi salariali, con un tempo limite per
raggiungerlo, passato il quale interviene il potere sostitutivo del Ministero
del Lavoro.
Altri
emendamenti riguardano l’estensione anche a questa categoria dei nuovi
ammortizzatori sociali (Aspi) e dell’indennità di disoccupazione,
l’allargamento della platea interessata, l’apprendistato, il trattamento di
maternità per parasubordinati e autonomi, la mutualità integrativa per gli
autonomi.
Che
fine faranno questi emendamenti? Non so dirlo, non credo avranno vita facile.
Ma quale mobilitazione fornirà il sostegno necessario? Quella di partito ha le
caratteristiche (e i limiti) che sappiamo, l’Associazione potrà mettercela
tutta ma sarà pur sempre una campagna di opinione. E i sindacati?
La
CGIL, basta aprire la home page del sito per verificarlo, pone al centro in
questi giorni proprio la preparazione della giornata nazionale di lotta contro la precarietà. Ottimo. Dunque si potrebbe immaginare che le
strutture CGIL si stiano attrezzando per affrontare nei luoghi di lavoro una
giornata di mobilitazione e di apertura di vertenze.
La
mobilitazione dovrebbe servire per sostenere le modifiche al DDL sul lavoro. Se
la si porta nei luoghi di lavoro si può intrecciare con un’iniziativa diretta, sul
campo, per puntare a raggiungere accordi sul trattamento salariale dei
parasubordinati. Tanto più dove questi sono impegnati a fianco dei lavoratori
dipendenti e magari sono anche tesserati CGIL (vi sono posti di lavoro dove si sono
fatti passi avanti rispetto alle chiusure che ho ricordato sopra).
Ma
è così che sta andando? L’agenda delle iniziative preparatorie, fitta (se ne contano in questo
momento un centinaio) prevede volantinaggi, presidi, assemblee comunali,
qualche sciopero di zona (su vertenze territoriali generali). Le assemblee di
luogo di lavoro sono una mezza dozzina, in due casi con sciopero (si può
immaginare che la vertenza riguardi il lavoro precario). E’ anche questa,
dunque, prevalentemente una campagna di opinione. Serve a sostenere una
proposta politica. Ha lo stesso carattere della mobilitazione che può mettere
in piedi l’Associazione XX maggio, sia pure con l’estensione e la capacità
organizzativa di cui è capace una grande Confederazione sindacale.
Non
è il solo limite. C’è un altro (piccolo?) particolare. La campagna non sostiene
alcuna proposta specifica, concreta. Contiene solo una critica, radicale, dura,
inflessibile, a tutto ciò che non va del DDL lavoro.
Direte,
va bene lo stesso, anche se non serve a supportare una campagna su proposte
precise e concrete, va nella stessa direzione. Però … c’è anche qui un però.
Prendete allora il testo del documento CGIL di critica al DDL lavoro e esaminate le parti dedicate al lavoro precario,
alla parasubordinazione. Le sei righe dedicate all’argomento definiscono
l’obiettivo del DDL Fornero “lodevole”
in quanto segna un’”inversione di
tendenza apprezzabile” e tuttavia considera le misure previste “insufficienti”. E si porta come esempio
proprio il fatto che “manca un vincolo ad
un livello di reddito al di sotto del quale sia impossibile attivare le
collaborazioni”. Si badi bene: non si indica l’esigenza di un minimo contrattato ma si richiede un minimo legale, per evitare “il rischio che l'aumento contributivo,
giusto, si scarichi sui compensi dei collaboratori”. Conclusione, la
critica dura (ad esempio sugli esodati) si ammorbidisce molto su questo tema.
Ho
dato un quadro parziale? Chi fosse interessato può provare ad allargare lo
sguardo ad altre iniziative in ambito CGIL. Visitare il sito di
Nidil, che è l’organizzazione di
categoria degli “atipici”, che raccoglie gli interinali e i parasubordinati. O
quello dei Giovani CGIL organizzati attorno alla campagna “NON + DISPOSTI A
TUTTO” e in particolare la loro piattaforma contro la precarietà. Una campagna dello scorso anno che non ha però
avuto seguito. La sola traccia recente lasciata dai Giovani CGIL è il documento
a loro firma “tutte le bugie sulla riforma del lavoro” completato da una guida
alla riforma. Il quadro insomma
non cambia.
TROPPO DIFFICILE TUTELARE IL LAVORO FRANTUMATO
E INDIVIDUALIZZATO? UN ALIBI TROPPO COMODO
Spero
che risulti chiaro il senso di questa parte conclusiva dedicata al sindacato
(alla CGIL, con più precisione). Se a fatica si sta facendo qualche passo
avanti per organizzare anche il lavoro precario, non si dà tuttavia un seguito
allo sforzo organizzativo. Non sul piano dell’attivazione di vertenze strettamente
sindacali per tutelare redditi e condizioni di lavoro nelle situazioni specifiche,
concrete. Ma neanche su quello della individuazione di obiettivi politici, che
richiederebbero quindi percorsi e strategie rivolte verso le istituzioni.
Anzi,
si tengono rigorosamente le distanze da chi tiene rapporti all’interno
dell’ambito istituzionale. Anche quando si tratta, come nel caso dell’Associazione
XX maggio, di volti appartenenti all’album di famiglia. Non troverete una sola
citazione di quell’Associazione in tutto il portale della CGIL.
Autonomia
del sindacato dai partiti? Non scherziamo.
Non
è facile, sento dire a discolpa. Il sindacato è per sua natura organizzazione
di massa, non può farsi portatore che
degli interessi comuni ai grandi numeri.
Se il lavoro si frantuma e si individualizza, entra in difficoltà.
Non
è anche questa una risposta facile? Che fa da alibi per non ricercare soluzioni difficili ma possibili?
Si
provi a pensare questo: i grandi numeri premono per contratti collettivi da
grandi numeri, quindi standardizzati, quindi regolati all’interno del quadro
grande (“macro”) dell’economia. Per intenderci, per i grandi numeri ci vuole un
accordo interconfederale (come quello con Ciampi nel ’93) che però, questo il
suo difetto, finisce per essere, oltre che necessario, sufficiente. Fatto
quello, quale altro compito spetta al sindacato? Il contratto nazionale si fa
con la calcolatrice da tavolo applicando formule matematiche. Il conflitto
distributivo finisce lì, il resto è, per dirla un po’ brutalmente, sceneggiata.
Paradossalmente,
il sindacato si è salvato proprio grazie all’individualizzazione. Non fa più
contratti collettivi, su quel piano fa solo grandi accordi di concertazione,
però serve ai lavoratori e ai pensionati. Serve in quanto dà loro servizi. Individuali.
Supplisce all’inefficienza dei front-office di Agenzia delle Entrate e INPS.
Caso unico al mondo.
Siamo
sicuri che lo sforzo organizzativo che serve per dare risposte agli individui
precari, che non sono grandi numeri, sia davvero maggiore di quello messo in
piedi per allestire Patronati e CAF? Serve però pensiero strategico.
Infine.
Alla rinuncia a rappresentare i precari perché dispersi e frantumati fa riscontro
(già da molto più tempo) quella a rappresentare le professioni (quelle con
rapporto di subordinazione, intendo), le competenze elevate, gli specialisti. E
poi le particolarità territoriali. E poi il merito.
Pensate
davvero che l’idea di un contratto nazionale sia stata meno rivoluzionaria nel
tempo in cui le paghe (settimanali) venivano considerate un compenso “ad
personam” perfino nello stesso stabilimento, negozio, ufficio?
Fermiamoci
qui. In definitiva, se ai partiti non può spettare il ruolo di farsi portatori
di interessi particolari e di organizzare i soggetti che li esprimono, perché a
loro spetta quello della sintesi e della mediazione. Se tuttavia proprio sul
terreno della tutela degli interessi il sindacato ha ceduto spazi enormi
andando ad occupare – impropriamente – quello della mobilitazione su temi
generali. E se questa mobilitazione si dimostra inconcludente, proprio perché
disconnessa – volutamente – dai soggetti politici, cui istituzionalmente spetta
anche, in una democrazia ordinata, la “finalizzazione”, il fare gol, portando
all’approvazione leggi di portata generale. Se tutto ciò si verifica, che
conclusione dobbiamo trarne?
Che
quegli interessi non riescono a trovare tutela, non hanno risposte.
Né
dai partiti, perché mancano loro le gambe, né dai sindacati, portatori degli
interessi specifici, perché manca loro la testa, non avendo cittadinanza nelle
istituzioni. Mentre hanno rinunciato a usare le gambe, che sono robuste e
potrebbero sferrare qualche calcione. Non al vento. Al bersaglio.
Interessi
privi di tutela. Di questo parla, a me sembra, anche l’apologo che ho
raccontato e da cui ho preso spunto come esempio. Vedremo come andrà a finire
con la vicenda riforma-lavoro. Personalmente vedo un finale già scritto, già
visto. Con qualche novità positiva ma con tante aspettative deluse.
UN ALTRO PRIMO MAGGIO?
E
se il primo maggio, anziché festeggiare a casa di uno dei tre leader confederali
(per chi si fosse domandato come mai la scelta di celebrarlo a Rieti, è da lì
che viene Angeletti: a Chieti o a Milano l’anno prossimo?) lo avessimo invece
scelto come data proprio per indire la giornata nazionale di lotta (unitaria)
alla precarietà? Magari, avremmo potuto usarla per portare in ogni casa una
piattaforma concreta di modifiche al DDL lavoro (quattro o cinque, non mille,
ma pesanti!). E, se non è fantascienza, per lanciare una vertenza nazionale, da
riprodurre in ogni luogo di lavoro dove convivano dipendenti e atipici, per
l’estensione del salario minimo contrattuale agli atipici.
Non
avremmo forse portato un granellino a favore di una crescita, piccola forse ma
di grande significato per il futuro, dei redditi da lavoro in un Paese angosciato
dalla povertà di chi lavora?
Può
darsi che stia prospettando cose fuori dal mondo. Sarei felice se me lo si
spiegasse. E’ un commento che chiedo, ai miei trenta lettori.