sabato 20 ottobre 2012

Aspettando il Consiglio di Stato


Tra pochi giorni si conoscerà il verdetto del Consiglio di Stato sulle elezioni molisane.
L'attesa può suggerire qualche riflessione non condizionata dall'esito della vicenda.


    Comunque vada, non potrà che essere una sentenza politica
  1. E' politica la materia del contenzioso. La sentenza farà precedente. E farà chiarezza sul peso da dare alle regole che sovrintendono alle operazioni elettorali. Nel momento politico che il Paese sta vivendo. A pochi mesi da elezioni politiche di importanza storica, un passaggio di fase che segnerà la fine della Seconda Repubblica. E da elezioni regionali in tre delle quattro più popolose regioni d'Italia, amministrate tutte dal centro-destra.
    Poiché si è ripetuta, a dieci anni di distanza, una vicenda che il Molise ha già vissuto, la sentenza ci dirà se il peso delle regole si è modificato in questo lasso di tempo.
  2. E' singolare che sia stata accolta con qualche sorpresa l'attenzione che il Collegio giudicante ha dedicato alla vicenda della lista UDC, quando dovrebbe essere chiaro che si tratta dell'aspetto dai risvolti politici più pesanti.
    Si è fatto un gran discutere del peso da dare a una formalità, apparsa irrilevante a molti nel centro-destra, quale la spillatura dei fogli successivamente alla raccolta delle firme. In sostanza i presentatori della lista hanno invocato la buona fede e l'irrilevanza, sul piano sostanziale, dell'aver separato i fogli (in precedenza uniti, a loro dire) per inserirne altri (i certificati elettorali, a quanto pare). Si può annullare un'elezione per questa inezia?
  3. Il PdL aveva invocato un argomento non dissimile nel caso del Lazio. Si può impedire la partecipazione alle elezioni a un partito (che era allora il primo partito in Italia) per un banale ritardo di minuti nella presentazione della lista, dovuto a un'improvvisa caduta degli zuccheri e alla necessità di mettere un panino nello stomaco? Poi la storia ci ha mostrato non solo i retroscena ma anche gli sviluppi successivi di quel particolare “insignificante”.

  1. Torniamo al Molise e all'UDC. La buona fede non può essere invocata. Non credo si tratti di portare prove pro o contro il fatto che ai firmatari fossero stati sottoposti fogli uniti tra loro e dunque recanti con chiarezza nel frontespizio l'indicazione della lista per cui si raccoglievano le firme. Il Collegio dovrà invece pronunciarsi su un fatto che è stato appurato senza ombra di dubbio: sono stati uniti successivamente fogli di firme che non recavano l'indicazione della lista per cui erano state raccolte. E' lecito? E' ammissibile? E' una formalità su cui si può sorvolare?
  2. Non vorrei scandalizzare nessuno, ma per quel che mi riguarda una risposta affermativa, mi si perdoni il bisticcio, non sarebbe scandalosa. Che un magistrato si possa trovare ad esercitare una funzione innegabilmente politica non solo non lo considero uno scandalo ma ritengo faccia parte della fisiologia del suo ruolo. Senza scomodare common law e civil law, non penso che il nostro sistema giuridico, fondato sulla “sacralità” della norma scritta, faccia del giudice un mero sacerdote officiante senza alcun potere interpretativo. Penso che un giudice sia chiamato ad un esercizio di responsabilità, da cui non può sottrarsi: “leggere” la norma sempre e comunque con gli occhiali della storia, ovvero della società in movimento, in cui quella è calata.
  3. Non intendo dunque trincerarmi dietro la formalità della norma, né ergermi a giudice della buona fede di chi ha raccolto le firme per l'UDC. Ritengo però che i giudici si esprimeranno nella piena e responsabile coscienza delle conseguenze politiche del loro verdetto. Se sarà considerato lecito, ammissibile, peccato veniale scusabile, unire in momenti separati fogli di firme privi di intestazione questa sarà la nuova regola.
Si potranno raccogliere le firme per una coalizione decidendo solo in un secondo momento a quale lista conferirle in modo da massimizzare (o minimizzare, se apparisse più opportuno) il numero di liste in appoggio.
Si potranno raccogliere firme per metterle a disposizione di un intermediario (di fiducia del firmatario) che potrà offrirle sul mercato politico.
Non vado oltre. Il nesso tra una prassi di questo genere e la piaga (spero sia considerata tale dai miei lettori) del voto di scambio è evidente.

Il diritto preminente degli elettori

  1. Confesso di non essermi appassionato al tema della rinuncia al riconteggio da parte degli elettori ricorrenti. I conti fatti in base alle comunicazioni dei rappresentanti di lista e degli scrutatori (di entrambe le coalizioni, come è risaputo) davano vincente Di Laura Frattura. Non vuol dire però che il riconteggio lo avrebbe dato vincente. Nessuno può dirlo con certezza e trovo semplicemente puerile che dal centro-destra si siano levate voci che pretendevano di accreditare il contrario, ossia che si stesse profilando una riconferma della vittoria del centro-destra. Non è vero perché, semplicemente e banalmente, mancano del tutto i presupposti per affermarlo.

  1. Ma un argomento più “sofisticato” è stato usato contro i ricorrenti (e contro Di Laura Frattura): “Gli elettori avevano il diritto di sapere chi aveva vinto.” Vero, sarebbe stato ottimo. Ma c'è un diritto che precede, logicamente, politicamente e perfino eticamente, se mi è concesso, quello di sapere. Ed è il diritto ad essere governati da chi gode del consenso maggioritario degli elettori. Un diritto che un verdetto “a babbo morto” (vedi Lombardia) avrebbe reso vano, pur soddisfacendo l'altra esigenza. E' per questo motivo, e non solo per un puro costrutto formale di ordine giuridico, che la questione della validità delle elezioni va considerata “assorbente” rispetto all'esito delle elezioni che si sono svolte. Ammesso ovviamente, ma la verità (giuridica) la sapremo solo con la sentenza, che lo svolgimento fosse viziato da irregolarità non sanabili.

Il bilancio di un decennio

  1. In un dibattito televisivo di questi giorni di fibrillazione, un esponente di peso del centrodestra, l'assessore Vitagliano, ha usato un argomento con il piglio di chi ha in serbo la verità ultima, il giudizio finale: “Se parliamo di politica e non di formalità, la vittoria di Iorio sta nell'aver reso il Molise di oggi migliore di quello di dieci anni fa.” Stupefacente.
  2. Non solo pretendere di sostituirsi (ipertrofia dell'ego?) al giudizio di chi ha titolo per giudicare (il corpo elettorale). Non solo pretendere che si tratti un dato di fatto (coppia “vero / falso”) anziché di un giudizio soggettivo (“buono / cattivo”, “giusto / sbagliato”). Ma nascondere (o nascondersi?) quel tanto di dati di fatto che dovrebbero sorreggere anche un giudizio prettamente soggettivo, quale quello politico.
    Potremmo discutere del peso da dare ai vari parametri su cui può fondarsi un giudizio, e avremmo almeno chiaro il sistema di valori in base al quale giudichiamo. Quel sistema di valori da cui si distingue, se la politica ha un senso, un giudizio “di sinistra” da uno “di destra”. Ma almeno qualche parametro dovrebbe essere fornito!
  3. E' cresciuto il PIL? L'occupazione? I chilometri di rete ferroviaria? L'offerta di servizi sanitari o la qualità dei servizi resi? O il tasso di lettura dei quotidiani? E' migliorato il saldo della mobilità dei pazienti? O il saldo della bilancia dei pagamenti? O il bilancio consolidato delle partecipate? O la produzione culturale? Sono diminuiti i tempi di percorrenza (indipendentemente dal vettore considerato)? O i conferimenti di rifiuti in discarica?
    Mi risulta aumentata la produzione di energia (la regione da importatrice è divenuta esportatrice). Nonché le cubature edificate e i metri quadri asfaltati. Possiamo elencare costi e benefici che ne sono derivati alla popolazione?
    Possiamo vantare qualche altro aumento (tasse, accise), su cui forse l'assessore preferirebbe sorvolare.
  4. Certo, si può pensare che senza Iorio sarebbe andata peggio. Con le Torri Gemelle, l'aviaria, i mutui sub-prime, i debiti sovrani e chi più ne ha … potevamo assistere a disastri peggiori. Ma non potremo mai saperlo perché dieci anni fa il Presidente eletto è stato giudicato “abusivo”. Perché le elezioni non si erano svolte regolarmente.