Sto seguendo con emozione, e non poca apprensione, le vicende
della Solagrital.
Ha una grande importanza politica.
Mette a nudo gli aspetti negativi di dieci anni di centro-destra
in Molise, errori da non ripetere, una cultura da sradicare. E
metterà alla prova la capacità del centro-sinistra, se vincerà le
elezioni, di affrontare e risolvere i problemi più spinosi. Di non
deludere le speranze in un futuro migliore.
Di più. Ha pesanti implicazioni umane e sociali.
Ne va delle sorti di centinaia di lavoratori dipendenti, più o
meno stabili. Di migliaia di lavoratori collocati, “a monte” e “a
valle”, nel ciclo che fa perno su Solagrital. Delle loro famiglie.
Dell’indotto. Non è esagerato dire, non lo è mai stato da quando
esiste lo stabilimento di Monteverde, che l’intera economia del
Matese molisano è in bilico. Si è retta fin qui su quella filiera e
ne dipende, quindi, per la sua stessa sopravvivenza.
Per me c'entra poi la biografia.
Diciotto anni fa, quando mi fu affidata la responsabilità della
CGIL del Molise, non feci neppure in tempo a disfare le valigie che
esplose drammaticamente la crisi di quella che era allora la SAM,
costola molisana del gruppo Arena. Un banco di prova, oltre che una
vicenda da cui sono nati legami affettivi che il tempo non ha
cancellato né affievolito.
Anche allora i conti non tornavano.
Il Gruppo Arena, allora secondo produttore avicolo dopo Aia,
perdeva quote di mercato e sopportava gravi squilibri di bilancio. I
più erano convinti che, essendo al Nord la testa, le radici del
gruppo, l’”appendice” meridionale avrebbe pagato le conseguenze
più pesanti. Anche perché, già allora, la politica che aveva
favorito l’insediamento con laute sovvenzioni, aveva preteso un
ritorno in termini di consenso condizionando assunzioni e assetti di
vertice.
Perfino la maggioranza dei lavoratori aveva poca o nulla fiducia
nelle prospettive future. Quando poi si arrivò alla chiusura dello
stabilimento nei pressi di Verona in cui era concentrata la parte
prevalente della produzione, quello con la migliore redditività,
almeno sulla carta, inserito in un tessuto produttivo evoluto, per
allevamenti e approvvigionamenti, e in un mercato più ricco, il
destino apparve segnato.
Anche allora serpeggiava, con la sacrosanta rabbia, molta
disperazione. Muoia Sansone con tutti i Filistei, si arrivò a dire
(l’ho sentito ripetere in questi giorni). I concorrenti
assaporavano l’idea di spartirsi quella fetta di mercato. Non
mancava chi pensava di trarre vantaggio da una liquidazione, se non
da un fallimento, per accaparrarsi i benefici che la politica,
atterrita all’idea di dover pagare pegno e perdere una fonte
preziosa di consenso, sembrava pronta ad elargire di nuovo.
Anche allora erano in vista le elezioni regionali e il
centro-destra, che era stato stabilmente al governo sin dalla nascita
della Regione, era in crisi. Per ragioni nazionali, la caduta del
primo governo Berlusconi, ma anche per il logorio della politica
clientelare, le promesse non mantenute, le troppe contraddizioni e
delusioni. A Isernia si era assistito alla novità di una giunta
comunale “progressista”, apprezzata dai cittadini anche alla
prova dei fatti. Il sindaco, Marcello Veneziale, appariva in grado di
conquistare la fiducia popolare anche fuori da quel contesto
cittadino.
Non entro nei particolari, si sa come andò a finire. La nuova
Giunta si adoperò per una soluzione “casalinga”, molisana. Provò
a scommettere sull’abbinamento Molise – qualità, rovesciando lo
schema più scontato. Non il ricco Nord sarebbe sopravvissuto ma il
Sud “buono”, genuino. Il marchio Arena avrebbe acquistato quella
connotazione. Il territorio, l’”osso” della penisola, anziché
piangersi addosso e pagare anche per la parte ricca, si salvava
affidandosi alle sue qualità migliori. La terra, poco antropizzata,
il lavoro, ancora poco “alienato”.
Se oggi alcuni passaggi di quella storia si ripetono, è perché
quella scommessa non è stata vinta. La partita pur tuttavia è stata
giocata. Ma la politica era cambiata di nuovo, troppo presto, grazie
a un “ribaltone”, che il Molise ha vissuto per primo nel Paese, e
a un’abdicazione (potrei dire, alla fellonia) che ha segnato – e
segna ancora – il destino della sinistra molisana.
Poteva finire meglio, ne sono convinto, ma oggi si devono di nuovo
fare i conti con un dissesto, una gestione sciagurata, un domani
oscuro.
La storia non si ripete mai uguale, lo sappiamo, le tragedie
spesso mutano in farsa. Ora i concorrenti sono cresciuti mentre Arena
non è più così ingombrante. Il suo marchio tuttavia ha ancora un
appeal. Quella associazione di idee con bontà e genuinità non si è
persa del tutto, anche se è stato fatto molto per cancellarne
definitivamente ogni traccia. Spartirsi le spoglie e accaparrarsi
quel marchio è ancora un bersaglio seducente: per farlo fuori
definitivamente o per rilanciarlo su altri prodotti, altri processi,
altri territori. Le alternative possono essere giocate entrambe.
Non si devono commettere errori, dunque, se non si vuole perdere
una partita che si presenta tutta in salita, sì, ma non compromessa.
Oggi che non sono più in prima linea, dopo diciotto anni, posso
forse dare un sostegno, in termini di esperienza o di conoscenza, ma
non sta certo a me decidere un bel niente. E' con molta cautela,
dunque, che azzardo anche, a conclusione di un percorso nella
memoria, una considerazione, rivolta a chi quella lotta la sta
vivendo in prima persona come invito di riflessione.
Credo che la difficoltà della vertenza imponga di tenere insieme
tre dimensioni, che sono tra loro distinte ma richiedono ciascuna
pari attenzione.
Un primo livello, immediato, è quello della tutela degli
interessi vitali dei protagonisti più deboli e più esposti.
Riscuotere subito, prima di ogni altra incombenza, i crediti non è
solo questione di un privilegio riconosciuto dalla legge. E’
sopravvivenza. Ma è anche il modo più sicuro di costringere a
tenere scoperte le carte. Perché, qui viene il secondo piano, la
vicenda si dipanerà lungo passaggi e mosse articolate e assai
complesse, che richiederanno capacità, competenza e, non ultima ma
addirittura decisiva, affidabilità dei protagonisti. Dunque
trasparenza totale, partecipazione, coinvolgimento.
Si deve diffidare di chi fa appello alla riservatezza, di chi
confonde le acque, di chi non si confronta ma spia. Un pezzo
fondamentale della vicenda, se non il suo cuore, è rappresentato da
una società quotata in Borsa, Arena. Soggetta alle regole di
trasparenza su cui quella istituzione si regge. A maggior ragione in
quanto ammessa ad una procedura di concordato preventivo. Sarebbe
paradossale che Solagrital (così come Gam), controllata dal
pubblico, si sottraesse a quelle regole continuando a coprirsi dietro
un velo di arcano. Tanto più se in gestione commissariale, affidata
a chi, proveniente dal mondo cooperativo, dovrebbe ispirarsi al
principio della solidarietà.
Accanto alla tutela prioritaria e intransigente degli interessi
vitali, accanto all'esigenza di trasparenza e partecipazione, c'è
infine la visione strategica. Il futuro non è oggi, ma da oggi
occorre sapere in che direzione ci si sta muovendo. Può sembrare
l'aspetto meno pressante, “domani è un altro giorno, si vedrà”.
Non lo è.
Non è la stessa cosa produrre per un marchio che si controlla, il
cui valore sul mercato può essere tradotto in valore per il
territorio dove si produce, anziché per qualcuno che trasferisce
valore, ricchezza, altrove, per un altro marchio o per fare del
marchio (fin qui) molisano l'uso per lui più conveniente. Non è la
stessa cosa produrre per chi intende posizionarsi su una fascia di
mercato di qualità più elevata (associata a una maggiore aggiunta
di valore) giocando anche sulle caratteristiche del territorio ovvero
per chi scommette sul taglio dei costi per tenere i prezzi finali in
una fascia bassa, sia pure di largo consumo ma costantemente sotto la
pressione competitiva dei produttori dei paesi emergenti.
Voglio essere chiaro. Non credo si debba ripetere il mantra della
“molisanità”, come si fece a metà degli anni Novanta. Il
certificato di nascita e di residenza non sono dirimenti. Dirimente è
il progetto industriale. Molisana deve essere la filiera, molisano il
marchio di qualità, molisana la scommessa della partecipazione e
dunque molisani i protagonisti, corali, del progetto. Della carta di
identità non sappiamo che farne quando vediamo qualcuno che, nato
qui vicino, sta organizzando la più grande spoliazione industriale
della storia italiana, il trasloco del maggiore complesso produttivo
italiano in USA, in Brasile o nei Balcani.
Dunque, chiediamoci fin da ora: che scelta si intende fare quanto
alla proprietà del marchio Arena, che la proprietà ha messo sul
mercato all'interno della procedura concordataria?
Lungimiranza, e nervi saldi, insomma. In bocca al lupo, in primo
luogo ai lavoratori della Solagrital che … si sono svegliati (non
solo su Facebook).