venerdì 9 agosto 2013

Considerazioni sulla Giunta Frattura. A 150 giorni dalle elezioni

A centocinquanta giorni dalle elezioni regionali in Molise sento di dover tornare ancora su un bilancio, aggiornandolo alla luce dei primi atti di Giunta, con qualche considerazione per il prosieguo. In politica c'è sempre un dopo.

Ho già avuto modo, su sollecitazione di amici molisani, di chiarire (su FB il 26/7) che non mi riconosco in molti degli atti salienti della Giunta Frattura. E che non per questo mi dichiaro pentito di aver dato un contributo (per quel che può aver pesato) alla sua elezione. Ma l'apparente contraddizione ha bisogno di una spiegazione politica. Che prende le mosse dall'elezione del 2011.

Non ripercorrerò ancora una volta gli antefatti, su cui ho espresso il mio giudizio in un post precedente. Se non per insistere sul fatto che la carica innovativa di Paolo Di Laura Frattura e l'entusiasmo di sostenitori attratti dall'idea di un cambiamento radicale aveva portato nel 2011 a una vittoria (al di là dei numeri ufficiali, poi riconosciuti privi di valore dal Consiglio di Stato) contro il “satrapo” Iorio. Il quale, fino all'ultimo momento, era stato dato per imbattibile non solo dai suoi sostenitori ma da tutto l'apparato del centro-sinistra (moderato o radicale che fosse). Apparato che si sarebbe comodamente accontentato di una sconfitta in cui avesse visto confermato uno scranno di opposizione.
La paura per la vittoria, pur negata in prima istanza e dunque solo sfiorata, è stata tale da paralizzare maggioranza e opposizione (di comodo), che hanno passato i dodici mesi tra il voto e il pronunciamento del Consiglio di Stato, anziché a governare e a fare opposizione (sia pure per finta), a studiare ogni genere di mosse tattiche e “larghe intese”, per lo più indicibili e spesso irrealizzabili, con il solo scopo di impedire che quella ventata di novità tornasse a imporsi, in via definitiva.

Aggiungo, se mai questo concetto si fosse un po' smarrito, che la crisi dello “iorismo” non era dovuta a motivi contingenti o esogeni: l'economia della regione arrancava e aveva perso contatto con l'andamento dell'area centrale del paese, a cui si era faticosamente avvicinata fino agli anni Novanta, ed era ripiombata nelle performance (negative) tipiche del Mezzogiorno. Tessuto industriale in crisi, brusco stop ai processi di ammodernamento del settore terziario, incapacità di investire localmente il risparmio. Occupazione in drastica caduta, mentre disagio sociale e povertà (anche assoluta) si diffondevano. Sprechi, corruzione e clientelismo dilaganti nella vita pubblica, in stretto connubio, anche affaristico, con una politica autoreferenziale. 
Ma proprio qui, come abbiamo visto, stava il punto. Non ci si poteva aspettare che dall'interno di questa politica autoreferenziale potesse venire una spinta sufficiente per imboccare la strada della svolta radicale. E i vertici del centro-sinistra, non solo del PD, che della stagione passata erano stati non tanto spettatori quanto attori diligenti, benché in un ruolo marginale, di quella svolta non sarebbero mai stati i protagonisti. Sarebbero stati semmai scavalcati e posti ai margini.

Ecco spiegate le ragioni di un fatto altrimenti incomprensibile. La trattativa con i pezzi in fuga dal centro-destra (in sé non solo lecita ma perfino augurabile) non ha mai, in nessun momento, neppure fugace, neanche in pubblico (per salvare la faccia), dico proprio mai toccato questioni di merito. E non ha mai, ripeto, mai preso in considerazione l'ipotesi che comportasse l'adesione al programma politico della coalizione di cui si entrava a far parte. Ad un programma che, tanto per ricordarlo, era stato elaborato in un percorso condiviso e presentato all'elettorato, appena un anno prima, come alternativo rispetto sia alla persona di Iorio che al suo modello di gestione politica.

Così nasce la Giunta di cui stiamo parlando.
E' per questo, a questo punto del discorso, che ho considerato necessario inquadrare queste vicende locali in quelle nazionali. Perché, insisterò fino alla noia su questa affermazione, la gestione del dopo-elezioni (nazionali) che ha portato al governo delle larghe intese, fino alla sua attuale, incombente, evoluzione tragica, trova nei fatti accaduti nella più piccola regione (ordinaria) d'Italia un prologo illuminante.
La politica senza qualità, gestione del potere a fini di arricchimento personale, è riuscita ad avere il sopravvento in Molise, nel momento in cui gli elettori stavano lanciando un segnale diverso e sembravano credere in un'alternativa possibile. Come è riuscita? Con il travisamento e con la sopraffazione, innanzi tutto. Ma anche grazie all'incapacità di quel fronte elettorale alternativo di darsi un'espressione politica compiuta, unita, organizzata, credibile.
Allo stesso modo, il travisamento e la sopraffazione hanno portato a bocciare la candidatura di Prodi al Quirinale, a impedire un governo alternativo capace di interpretare e dare risposte alla domanda di cambiamento che l'84,4% dell'elettorato aveva espresso. Espresso, ahimé, in forme disorganiche, disorganizzate, inconcludenti, nelle elezioni di febbraio. Senza che emergesse, mi ripeto, un'espressione politica alternativa compiuta, unita, organizzata, credibile.

Che cosa ha fatto in questo contesto il Presidente Frattura? Ben poco. Poteva e potrebbe fare di più? Direi proprio di sì e non c'è dubbio che abbia commesso errori, nemmeno secondari, anche agli occhi di chi gli era più vicino e lo sosteneva con più convinzione sulla strada del cambiamento. Ma si sa che il segreto non sta nel non commettere errori (a tutti, anzi, deve essere concesso di sbagliare) ma nel riflettere ed apprendere dagli errori commessi. Perché ciò avvenga però, oltre alle qualità personali, occorre un contesto favorevole all'apprendimento. In quale contesto si trova Frattura? Sfavorevole come non mai. Chi può fare qualcosa per cambiarlo e come?

E' questa la domanda su cui (continuare a) lavorare adesso. Personalmente mi auguro che Paolo Di Laura Frattura trovi il modo di fare la sua parte anche in questa direzione, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze che possono derivare dalla scelta di esporsi in una battaglia squisitamente politica. Ma nessuno pensi che la soluzione stia sulle spalle del classico “uomo solo/donna sola al comando”. Le due tornate elettorali regionali e il successivo turno amministrativo hanno fatto emergere un folto gruppo di persone che la strada dell'alternativa hanno mostrato di saperla percorrere e di voler andare avanti. Saranno abbastanza uniti, organizzati, credibili (scusate la ripetizione)? Non so dirlo, me lo auguro. Ma ho anche maturato la convinzione che la partita molisana difficilmente potrà risolversi nel solo spazio politico molisano e che è necessario che il cambiamento prevalga sul piano nazionale.
Il cuore del problema sta nel PD. Lo dice, a mio parere con grande chiarezza, Pippo Civati rivolgendosi a Rodotà, Zagrebelsky e Landini. Battersi nel Congresso del Pd è “l’unico modo per non consegnare alla destra (perché questo stiamo facendo) e all’indistinto, tutto il patrimonio di passioni, esperienze, anime (belle, anzi bellissime) che hanno formato una storia preziosa, da Dossetti a Berlinguer, da Pertini ai ventenni di oggi, che ci guardano con speranza e smarrimento, ma che sono giovani davvero”.

Raccolgo qui di nuovo, per comodità del lettore, i link che ho proposto:

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