A centocinquanta giorni
dalle elezioni regionali in Molise sento di dover tornare ancora su
un bilancio, aggiornandolo alla luce dei primi atti di Giunta, con
qualche considerazione per il prosieguo. In politica c'è sempre un
dopo.
Ho già avuto modo, su
sollecitazione di amici molisani, di chiarire (su
FB il 26/7) che non mi riconosco in molti degli atti salienti
della Giunta Frattura. E che non per questo mi dichiaro pentito di
aver dato un contributo (per quel che può aver pesato) alla sua
elezione. Ma l'apparente contraddizione ha bisogno di una spiegazione
politica. Che prende le mosse dall'elezione del 2011.
Non ripercorrerò ancora
una volta gli antefatti, su cui ho espresso
il mio giudizio in
un post precedente. Se non per insistere sul fatto che la carica
innovativa di Paolo Di Laura Frattura e l'entusiasmo di sostenitori
attratti dall'idea di un cambiamento radicale aveva portato nel 2011
a una vittoria (al di là dei numeri ufficiali, poi riconosciuti
privi di valore dal Consiglio di Stato) contro il “satrapo”
Iorio. Il quale, fino all'ultimo momento, era stato dato per
imbattibile non solo dai suoi sostenitori ma da tutto l'apparato del
centro-sinistra (moderato o radicale che fosse). Apparato che si
sarebbe comodamente accontentato di una sconfitta in cui avesse visto
confermato uno scranno di opposizione.
La paura per la vittoria,
pur negata in prima istanza e dunque solo sfiorata, è stata tale da
paralizzare maggioranza e opposizione (di comodo), che hanno passato
i dodici mesi tra il voto e il pronunciamento del Consiglio di Stato,
anziché a governare e a fare opposizione (sia pure per finta), a
studiare ogni genere di mosse tattiche e “larghe intese”, per lo
più indicibili e spesso irrealizzabili, con il solo scopo di
impedire che quella ventata di novità tornasse a imporsi, in via
definitiva.
Aggiungo, se mai questo
concetto si fosse un po' smarrito, che la crisi dello “iorismo”
non era dovuta a motivi contingenti o esogeni: l'economia
della regione arrancava e aveva perso contatto con l'andamento
dell'area centrale del paese, a cui si era faticosamente avvicinata
fino agli anni Novanta, ed era ripiombata nelle performance
(negative) tipiche del Mezzogiorno. Tessuto industriale in crisi,
brusco stop ai processi di ammodernamento del settore terziario,
incapacità di investire localmente il risparmio. Occupazione in drastica caduta, mentre disagio sociale e povertà (anche assoluta) si diffondevano. Sprechi, corruzione
e clientelismo dilaganti nella vita pubblica, in stretto connubio,
anche affaristico, con una politica autoreferenziale.
Ma proprio qui, come
abbiamo visto, stava il punto. Non ci si poteva aspettare che dall'interno di questa politica
autoreferenziale potesse venire una spinta sufficiente
per imboccare la strada della svolta radicale. E i vertici del
centro-sinistra, non solo del PD, che della stagione passata erano
stati non tanto spettatori quanto attori diligenti, benché in un
ruolo marginale, di quella svolta non sarebbero mai stati i
protagonisti. Sarebbero stati semmai scavalcati e posti ai margini.
Ecco spiegate le ragioni
di un fatto altrimenti incomprensibile. La trattativa con i pezzi in
fuga dal centro-destra (in sé non solo lecita ma perfino augurabile)
non ha mai, in nessun momento, neppure fugace, neanche in pubblico
(per salvare la faccia), dico proprio mai toccato questioni di
merito. E non ha mai, ripeto, mai preso in considerazione l'ipotesi
che comportasse l'adesione al programma politico della coalizione di
cui si entrava a far parte. Ad un programma che, tanto per
ricordarlo, era stato elaborato in un percorso condiviso e presentato
all'elettorato, appena un anno prima, come alternativo rispetto sia
alla persona di Iorio che al suo modello di gestione politica.
Così nasce la Giunta di
cui stiamo parlando.
E' per questo, a questo
punto del discorso, che ho considerato necessario inquadrare queste
vicende locali in quelle nazionali. Perché, insisterò fino alla
noia su questa affermazione, la gestione del dopo-elezioni
(nazionali) che ha portato al governo delle larghe intese, fino alla
sua attuale, incombente, evoluzione tragica, trova nei fatti accaduti
nella più piccola regione (ordinaria) d'Italia un prologo
illuminante.
La politica senza
qualità, gestione del potere a fini di arricchimento personale, è
riuscita ad avere il sopravvento in Molise, nel momento in cui gli
elettori stavano lanciando un segnale diverso e sembravano credere in
un'alternativa possibile. Come è riuscita? Con il travisamento e con
la sopraffazione, innanzi tutto. Ma anche grazie all'incapacità di
quel fronte elettorale alternativo di darsi un'espressione
politica compiuta, unita, organizzata, credibile.
Allo stesso modo, il
travisamento e la sopraffazione hanno portato a bocciare la
candidatura di Prodi al Quirinale, a impedire un governo alternativo
capace di interpretare e dare risposte alla domanda
di cambiamento che l'84,4% dell'elettorato aveva espresso.
Espresso, ahimé, in forme disorganiche, disorganizzate,
inconcludenti, nelle elezioni di febbraio. Senza che emergesse, mi
ripeto, un'espressione politica alternativa compiuta, unita,
organizzata, credibile.
Che cosa ha fatto in questo contesto il Presidente Frattura? Ben poco. Poteva e
potrebbe fare di più? Direi proprio di sì e non c'è dubbio che
abbia commesso errori, nemmeno secondari, anche agli occhi di chi gli
era più vicino e lo sosteneva con più convinzione sulla strada del
cambiamento. Ma si sa che il segreto non sta nel non commettere
errori (a tutti, anzi, deve essere concesso di sbagliare) ma
nel riflettere ed apprendere dagli errori commessi. Perché ciò
avvenga però, oltre alle qualità personali, occorre un contesto
favorevole all'apprendimento. In quale contesto si trova Frattura?
Sfavorevole come non mai. Chi può fare qualcosa per cambiarlo e
come?
E' questa la domanda su
cui (continuare a) lavorare adesso. Personalmente mi auguro che Paolo
Di Laura Frattura trovi il modo di fare la sua parte anche in questa
direzione, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze che possono
derivare dalla scelta di esporsi in una battaglia squisitamente
politica. Ma nessuno pensi che la soluzione stia sulle spalle del
classico “uomo solo/donna sola al comando”. Le due tornate
elettorali regionali e
il successivo turno amministrativo hanno fatto emergere un folto
gruppo di persone che la strada dell'alternativa hanno mostrato di
saperla percorrere e di voler andare avanti. Saranno abbastanza
uniti, organizzati, credibili (scusate la ripetizione)? Non so
dirlo, me lo auguro. Ma ho anche maturato la convinzione che la
partita molisana difficilmente potrà risolversi nel solo spazio
politico molisano e che è necessario che il cambiamento prevalga sul
piano nazionale.
Il cuore del problema sta
nel PD. Lo dice, a mio parere con grande chiarezza, Pippo Civati
rivolgendosi
a Rodotà,
Zagrebelsky e Landini. Battersi nel
Congresso del Pd è “l’unico
modo per non consegnare alla destra (perché questo stiamo facendo) e
all’indistinto, tutto il patrimonio di passioni, esperienze, anime
(belle, anzi bellissime) che hanno formato una storia preziosa, da
Dossetti a Berlinguer, da Pertini ai ventenni di oggi, che ci
guardano con speranza e smarrimento, ma che sono giovani davvero”.
Raccolgo
qui di nuovo, per comodità del lettore, i link che ho proposto:
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note su FB e post su questo blog: