sabato 3 agosto 2013

LA DITTATURA DEL 15,6% E PIPPO CIVATI

La nomenclatura PDL dopo la condanna di Berlusconi si sta agitando in modo scomposto. Provoca uno sconquasso istituzionale, ma i cittadini italiani non sembrano scuotersi più di tanto. Sfibrati e delusi, assistono all'ennesima rappresentazione della compagnia al seguito di Silvio.
Alcuni senza più sperare in un cambiamento radicale e in un nuovo inizio. Altri, senza più riuscire a credere a chi promette miracoli nuovi di zecca … purché si impedisca al nuovo di prevalere.

Per gli uni e per gli altri Berlusconi è il problema e non la soluzione. Ma per gli uni e per gli altri la soluzione non è in vista.
Gli uni e gli altri fanno, insieme, l'84,4% dell'elettorato attivo. 39,5 milioni di persone rispetto ai 7,5 che hanno votato Berlusconi nel mese di febbraio.
Le masse in trepida attesa a Palazzo Grazioli
Quando si dice che Berlusconi è stato sconfitto per via giudiziaria anziché politicamente si dice una mezza balla.
Il suo partito, il PDL, ha perso tra il 2008 e il 2013 quasi metà dei consensi, 6,3 milioni su 13,6. La sua coalizione ha perso più di 9 milioni di voti rispetto al 2006, quando aveva fatto il pieno raccogliendo il suo massimo storico (18,98 milioni di voti) nello scontro (perso) contro Prodi. E ne perde 7,15 rispetto al 2008 quando, pur calando, aveva distaccato di 3,4 milioni di voti la coalizione PD-IDV di Veltroni, che si era fermata a 5,3 milioni di elettori in meno rispetto a due anni prima.

Ma quando si dice che Berlusconi non è stato sconfitto politicamente nonostante i guai giudiziari si dice una mezza verità.
Come è possibile che una formazione che raccoglie consensi in meno di un sesto dell'elettorato (il 15,6%!!!) detti ancora legge? Che il suo leader, pregiudicato, con giudizi pendenti (e condanne) per ogni sorta di reati, ponga condizioni e minacci a destra e a manca tutti i poteri costituiti?
Come è possibile che la stragrande maggioranza del corpo elettorale non trovi una proposta politica convincente e soddisfacente per mettere finalmente fuori gioco questa forza eversiva, che ha portato il Paese ai margini del mondo civile dopo averlo lasciato andare alla deriva?

E' evidente che la responsabilità principale di questo stato di cose, di questa dittatura del 15,6% - una colpa imperdonabile -, ricade sulla formazione che ha la maggiore consistenza elettorale in quel vasto 84,4% di elettori. Sul PD.
E' evidente a tutti, ma non a chi ha guidato il PD in questa disfatta. Si può capire. Ma è chiaro che se nel PD non riuscirà a prevalere una diverso gruppo dirigente, espressione di una maggioranza alternativa, in grado di offrire una risposta politica all'elettorato che attende di uscire dall'incubo presente, il destino del PD è segnato.

Contro i riti bizantini, da Prima Repubblica, del dibattito nel PD, hanno affermato per primi questa verità, tradotta nella parola d'ordine provocatoria ma efficace della “rottamazione”, Matteo Renzi e Pippo Civati. Per dire, con questa espressione, che era il momento di cambiare il partito anziché cambiare partito, come faceva, nei riti dell'era passata, chi era in disaccordo.
Dopo la prima uscita pubblica, alla Leopolda, hanno preso strade diverse: Renzi ha occupato con grande efficacia la scena mediatica e si è esposto coraggiosamente nelle primarie contro Bersani, che pure aveva scommesso il suo futuro politico sul cambiamento, del partito e del Paese.
Civati ha dato credito a Bersani, fino al momento drammatico (la congiura dei 101) in cui il segretario che non aveva vinto le elezioni che non poteva perdere ha deposto le armi ai piedi dell'apparato che intendeva rinnovare. Civati ce l'ha messa tutta per impedire che il PD tenesse ancora in vita quella dittatura. Da allora sta combattendo tenacemente la sua battaglia, avendo per primo avanzato la sua candidatura a segretario del PD nel prossimo congresso.

La mia idea, per quel che può valere, è che meriti di essere appoggiato perché ha ... tre meriti che da soli basterebbero (e che non ritrovo in Renzi).
Non si limita a dire che si deve cambiare ma si sforza di entrare nel merito, ad ogni tornante della vita politica, del cosa del perché e del come. L'ultimo suo atto di accusa contro la gestione attuale del PD è di una chiarezza esemplare.
Non affronta i problemi e non cerca le soluzioni nel chiuso di una elaborazione “tecnica” riservata a chi possiede le competenze ma si sforza di seguire ogni volta un percorso condiviso, aperto, ritrovandosi così con l'intuizione della “mobilitazione cognitiva” di cui parlano Revelli e Barca.

Non si ingegna di trovare la migliore mossa tattica nel rapporto con l'apparato, scegliendo tra il conflitto e l'accordo in base alle convenienze, ma si sforza di far emergere attraverso il confronto a viso aperto i margini di convergenza, marcando con chiarezza i dissensi.
E' per questo che ha anticipato tutti, prima di qualsiasi mossa tattica di altri, candidandosi. Senza alcuno sponsor se non quel mondo di persone che ha deciso che valga la pena di provarci insieme a lui. Quorum et ego. Senza timori, senza illusioni, ma convinto.


Per liberarci dalla dittatura del 15,6%.