mercoledì 31 luglio 2013

NON SI FERMANO

Non si sono fermati.
Il Partito Democratico, chiamato ad un appuntamento storico per ricostruire il futuro in un Paese alla deriva e per ritrovare in ciò le ragioni della sua esistenza, mostra di voler andare avanti senza una guida e senza un progetto. Che non sia quello di garantire la sopravvivenza della sua burocrazia di comando.

Il gruppo dirigente nazionale,stretto attorno al suo segretario “traghettatore” conferma di voler essere traghettato verso il nulla. O, meglio, di voler restare al suo posto senza nulla mutare.
Nella direzione chiamata a decidere data e regolamento del congresso (il n.3, non il primo, dove si rischia e si sperimenta) solleva, come tema su cui concentrare il dibattito, quello della platea dei votanti nel passaggio finale, le primarie per l’elezione del segretario nazionale.
Un tema del tutto privo di sostanza, così come era del tutto privo di sostanza il tema discusso in precedenza, del rapporto tra candidato segretario e candidato premier.

Quel primo tema non aveva ragione di esistere, dopo che, meno di un anno fa, si era stabilito che il segretario non fosse il solo ad aver diritto a candidarsi a premier e una volta relegato nel regno dell’assurdo il divieto per il segretario, unico fra tutti gli iscritti, di candidarsi a premier. Aveva invece senso, e grande importanza, una discussione approfondita sulla questione sottostante, la confusione di ruoli tra partito e istituzioni, di cui al documento di Fabrizio Barca: un argomento cruciale,che affronterà infine il congresso, che lo voglia o no l'attuale burocrazia di vertice.

Il nuovo tema su cui si è inteso spostare il baricentro della discussione non ha, di nuovo, ragione di esistere.Anche qui però c'è una questione sottostante, che chiama in causa l'esistenza stessa del PD.
Fermiamoci allora, almeno noi, a ragionare. Almeno noi che l'esistenza del PD non la consideriamo una questione marginale.

Tutto il partito è d'accordo che debba votare una platea più ampia possibile. E che la partecipazione al voto debba presupporre un interesse genuino e non un intento di boicottaggio o di inquinamento. In che cosa consiste e come si verifica la genuinità?
In un contributo economico:commisurato ai costi della vita del partito, o ai costi di organizzazione delle primarie?
In una firma su un atto formale:la sottoscrizione di una tessera, o l'adesione a un documento di intenti?
Il buon senso dice che, se la platea deve essere più ampia, sono giuste le seconde risposte: garantiscono la genuinità della partecipazione, senza porre come condizione ulteriore quella di riconoscersi nel partito quale oggi si presenta.
Ecco che invece si apre un dibattito surreale: devono votare solo gli iscritti, anzi no, gli“aderenti”, diversi dagli iscritti ma anche dai simpatizzanti (???). L'adesione comporta la tessera? Sembra di no, sembra possa avvenire ai gazebo. Ma si deve sottoscrivere la carta d'intenti. Gli elettori però potrebbero non aver dimenticato che la carta di intenti delle ultime primarie (per il candidato premier) è stata “rottamata”. Ce ne sarà quindi una diversa? Una che contempla l'alleanza col PdL? anche se si raggiunge il 51%, come si disse per l'alleanza con Monti? Altrimenti, come si fa a chiedere di sottoscrivere qualcosa che risulta vincolante per chi vota ma non per chi è eletto?
Il buon senso dice che sarebbe stato meglio sorvolare su questi dettagli e riproporre le regole già adottate in passato. Invece si scava e, più si scava, più si sollevano miasmi maleodoranti. Perché?

Credo di dover ripartire, per rispondere a questa domanda, da quella che avevo sollevato nell'ultimo postChi è alla guida del PD? Nessuno. E' un partito senza guida,sballottato tra le opinioni, e gli umori, dei vari leader, gli equilibrismi del segretario, la ragion di stato del premier in carica e la “moral suasion” del Presidente. Sempre più sordo alla voce degli elettori che lo hanno abbandonato a febbraio e di quelli che si stanno via via disamorando.

Ma il vertice di questo partito concepisce una sola soluzione al progressivo declino. Prendere tempo e aspettare che passi la nottata. Sono davvero convinti che l'elettorato non soffra che di un po’ di mal di pancia, che si tratti di una sfuriata passeggera,dovuta a circostanze avverse. Del resto, è vero o non è vero che il PD è l'unico partito in circolazione degno di questo nome? Non una formazione costruita attorno a un leader! Il tempo farà giustizia, la ragione politica trionferà sull'emotività!
Così la pensa, la nomenclatura. Il congresso è dunque vissuto solo come una iattura, un inciampo. Per amore dei formalismi, facendo violenza alla ragione politica, lo si invoca come un totem da adorare.
Poiché però non si può gettare benzina sul fuoco dell'emotività, lo si manderà alle calende greche ... senza dirlo.
Sono profondamente convinto che non ci sia nessun'altra ragione che motivi il dibattito surreale che si è innescato. Penso che si tratti solo, mi si perdoni il richiamo infantile, della classica ricerca dell'albero di Bertoldo. Intanto si rinvia tutto all'assemblea di settembre, poi, scavallato l'anno, chi vivrà vedrà.

C'è però, come ho detto, una questione seria, addirittura vitale, che si nasconde tra le pieghe di questo dibattito dilatorio fondato sul nulla. Quella già accennata a proposito della carta d'intenti: a chi appartiene il partito?
A un gruppo dirigente che elabora un progetto su cui gli elettori sono chiamati a pronunciarsi? O non piuttosto a un corpo elettorale, a un popolo nel popolo, identificato da comunanza di ideali di fondo e di valori? Che individua i suoi rappresentanti e delega loro la guida e l'organizzazione dell'iniziativa comune nei confronti delle istituzioni e della società nella sua generalità e vastità.
Qualcuno che la sa più lunga potrebbe cavarsela affermando che la domanda è mal posta perché la relazione è biunivoca o, come si diceva un tempo, dialettica. Ma attenti perché fa il furbo. Non parliamo dell'uovo e della gallina, qui è in ballo la questione da cui tutta la politica prende le mosse: chi detiene il potere? Chi è il sovrano?
Anche a questa domanda temo che un PD allo sbando non intenda dare una risposta, mentre la sinistra, da 250 anni o poco meno, una risposta l'ha data.
Ma per la burocrazia di comando del PD attuale è una risposta scomoda, su cui al più alimentare un po' di ammuina.
Torno a invocare che si trovi la forza di rompere l’incantesimo, prima che sia troppo tardi.

Che si prenda l'unica decisione ragionevole per arrestare la caduta: un congresso subito.
Sciogliendo il dilemma sull'”adesione” nel modo più semplice e onesto. Sottoponendo agli “aderenti”che si recano ai gazebo la stessa carta di intenti di un anno fa. Con un preambolo.

“Ne abbiamo fatto carta straccia. Inginocchiandoci umilmente davanti ai nostri elettori chiediamo scusa e vi chiediamo di scegliere chi secondo voi può meglio rappresentarci per intraprendere finalmente quel cammino mai iniziato.”