mercoledì 10 luglio 2013

Congresso PD. Le idee di Barca sul partito e le realtà locali

Riprendo il tema del dibattito surreale che sta accompagnando la partenza del percorso congressuale del PD.
Sul tema del rapporto segretario – premier, la soluzione di cui parlavo nel precedente post sembra stia finalmente prendendo corpo. Era la sola possibile, ma il tema ha comunque fatto da palestra per tenzoni di grande spessore politico. Merita però di ritornare sulla questione vera che si nasconde dietro la diatriba, che a mio avviso è quella che è stata sollevata da Barca nel suo documento sul “Partito Nuovo”: il rapporto tra partiti e istituzioni.
E’ una questione che non può essere confinata nel problema specifico di una singola persona, o carica. Senza nulla togliere alla dimensione del problema che si pone per il vertice (soprattutto in quanto si riflette sul futuro del governo in carica), ridurla a questo aspetto serve però solo a rimuovere il problema reale e così a difendere lo status quo.
Il tema va invece affrontato alla radice, secondo la mia opinione. Ciò significa che occorre partire dai circoli e dal loro rapporto con il territorio e con le istituzioni locali, passando attraverso i livelli intermedi, regionali e provinciali. Per inciso, sulla abolizione di queste ultime è finalmente arrivato da parte del governo Letta un atto formale che tuttavia, dopo un balletto e una tattica del rinvio miope e arrogante, che la Consulta ha finito giustamente per censurare, azzera la questione, la riporta ai nastri di partenza e mette in moto un percorso legislativo che non sarà breve né semplice.

Affrontare il tema della commistione impropria di ruoli tra partito e istituzioni a livello locale e intermedio è l’unico modo per sperare di imprimere un cambio di direzione anche a livello statale.
Ne abbiamo sotto gli occhi una controprova che dovrebbe apparirci evidente e facciamo invece fatica a vedere. Da due anni le tornate amministrative premiano regolarmente il centrosinistra ma sempre grazie a candidati che non provengono da incarichi di partito.
Le eccezioni si contano davvero sulle dita di una mano e hanno in genere spiegazioni particolari. In ogni caso nessun presidente di regione o sindaco di comuni capoluogo proviene dai ranghi di partito. Dunque a tutti i livelli intermedi il problema che tanto appassiona quando si tratta del vertice nazionale neppure si pone. L’idea di candidare ai vertici istituzionali di livello intermedio il segretario del livello corrispondente non viene, di norma, neppure presa in considerazione e nei pochi casi in cui accade si rischiano sonore sconfitte.

Nonostante questo, il carrierismo nei livelli intermedi continua ad essere un fenomeno impressionante.
Trova però soddisfazione attraverso altri meccanismi ed altri percorsi. Che non passano per nessuna verifica elettorale e sono anzi tenuti rigorosamente al riparo dal giudizio degli elettori. Si va dalla nomina negli organismi esecutivi (giunte) agli incarichi di nomina politica nella costellazione degli enti e società partecipate, fino alla poltrona-premio che il Porcellum permette di concedere benignamente agli apparati locali.
Le primarie-parlamentarie, al di là delle intenzioni di alcuni di quelli che le hanno sostenute (ma quelli in buona fede supplicavano di adottare una ben diversa tempistica), sono state il veicolo e la foglia di fico al tempo stesso. Non che non sia accaduto che abbiano fatto emergere qualche personaggio locale apprezzato per meriti specifici pur senza avere l’appoggio dell’apparato. Ma nel complesso sono state il trionfo delle burocrazie locali. “Apparatarie”, più che parlamentarie.
Il Molise non ha fatto eccezione.
Questa distorsione è stata pagata a caro prezzo. Basterebbe andare a vedere, caso per caso, regione per regione, dove e in che misura si è verificato il travaso da “Italia Bene Comune” a M5S nelle settimane prima del voto, dopo la diffusione delle liste dei candidati, e metterlo in relazione con il profilo degli “estratti” dalle primarie. Se ne avrebbe una controprova inconfutabile.
Per inciso, le burocrazie che hanno vinto le “apparatarie” sono le stesse che hanno infoltito la schiera dei cospiratori che hanno tramato per rottamare, con Prodi, ogni residua speranza (o pericolo?) di governo di cambiamento. Ha forse fatto eccezione il Molise? Non è dato saperlo, anche se non si sono udite parole particolarmente sdegnate per il tradimento consumato nella notte fatale (quanto ai generici abbinamenti del caso Prodi al caso Marini, come se aver agito alla luce del sole o nell’ombra non rappresentasse la differenza decisiva, autorizzano qualsiasi dubbio…)  

Di questo non si parla. Ma di questo dovrà parlare il congresso. Cominciare o no dai circoli? Certo che sì, ma ha senso solo se si pensa di farne il motore del cambiamento e il terminale di un rinnovato rapporto tra partito e società (e dunque tra politica e cittadini). Altrimenti sono solo alchimie tattiche per allungare il brodo e eludere i temi cruciali del confronto congressuale.

A questo proposito, fa pensare l’accoglienza riservata al documento di Barca, che su questi temi offre un ragionamento di grande spessore, ricco di spunti felici. Oltre all’ironia sui termini adottati e sulla corposità e difficoltà di lettura del documento (come se uno studente di matematica si lamentasse di dover leggere pagine piene di numeri e formule), niente. O, meglio, l’uso spregiudicato per sostenere l’incompatibilità tra segretario e candidato premier.
A ben vedere, è una dimostrazione del rigore e della lucidità dell’analisi di Barca. Il suo documento si è dimostrato, in senso popperiano, falsificabile e ha retto alla prova (ahimé!). “L’esistenza della fratellanza siamese e del catoblepismo ci dice che ogni tentativo di cambiamento troverà – come ha trovato finora – una forte resistenza nelle elite, che vedranno messo in discussione il proprio potere.” Come volevasi dimostrare. Sul suo documento è scattata la congiura del silenzio, mentre circoli e federazioni tempestano Barca di richieste di presenze a dibattiti, sempre molto partecipati e appassionati: ma la sua agenda è quella che è …

Ma non finisce qui.