venerdì 7 settembre 2012

SOLAGRITAL: Filiera. Territorio. Qualità.


Sono queste le parole chiave per dare una soluzione al vicolo cieco in cui è finita la Regione Molise. Riprendiamo il dossier Arena - Solagrital per cercare il bandolo di una matassa intricata. Ma è la politica che ha creato il disastro ed è la politica che deve voltare pagina. Prima possibile.

Arena-Solagrital, Zuccherificio. Due storie parallele: istanze di fallimento e procedure concordatarie, posti di lavoro in bilico, management aziendali nella tempesta, decine di milioni di euro dei contribuenti destinati a prendere il volo senza ritorno. Perché insistere su due storie disperate? Perché non allargare lo sguardo?
Ebbene, guardiamoci intorno: alla fine troveremo che in quei due simboli si riassume un intero paesaggio.

L'economia molisana è allo stremo. Ultimo bollettino di guerra, l'indagine Excelsior certifica che è la Regione in cui si registra la maggiore caduta percentuale dell'occupazione tra tutte le regioni d'Italia, per un saldo negativo del 2% tra assunzioni (previste) e uscite, quando la media per il Paese è di -1,1% e perfino il Sud e le Isole fanno meglio (-1,8%).




E' la crisi globale? E' la crisi italiana? Ovvio, ma se l'Italia va peggio di tutti nel mondo, il Molise va peggio di tutti in Italia. E' colpa degli imprenditori molisani, tutti incapaci? Non c'è motivo di pensare che ce ne siano più della media. Inutile girarci intorno, le responsabilità principali sono della politica (e dell'amministrazione, la cui guida spetta, nuovamente, alla politica). Che, quando ha messo le mani direttamente nelle aziende, dettando legge e ponendosi al di sopra delle regole del mercato, le ha condotte al disastro mentre ha abbandonato le altre a se stesse lasciando che fossero stritolate, in un mercato in cui avevano bisogno di essere aiutate per competere adeguatamente.
Non c'è contraddizione tra le due critiche. La politica non solo può ma deve interagire con il mercato per correggere le ingiustizie e le distorsioni che può produrre sul piano sociale. Non può contraddire quelle regole nei suoi fondamenti: detto con la massima banalità, la somma algebrica dei costi e dei ricavi non può non stare in equilibrio. Senonché il mercato non contempla tra le sue regole alcuna finalità esterna, motivo per cui appartiene alla politica il compito di indirizzare la dinamica economica secondo regole diverse da quelle imposte dal mercato (pur senza contraddirle). Verso fini trasparenti, espliciti, e chiari nel loro impatto economico (sui conti del dare e dell'avere). Finalità sociali, quindi, rivolte alla crescita del bene comune e alla sua sostenibilità nel tempo.
La politica molisana non ha assolto a questo compito. E' sotto gli occhi di tutti. Ha fatto tutto il contrario.
Ha sovrapposto alle leggi di mercato finalità private. Di potere: piccoli favori a tanti in funzione della conquista del consenso. Di affari: benefici lucrosissimi per pochi, purché fossero amici o capibastone. In modo non trasparente: per coprire la totale assenza di imparzialità. Stravolgendo le regole del mercato: lasciando che i conti non tornassero. A spese dei contribuenti: rendendo ancora più grave l'ingiustizia nei confronti di chi, oltre a subire il danno, pagandone le spese, veniva privato di un possibile beneficio.
Ecco dunque la centralità di quei due casi eclatanti. Perché è vero che non tutte le crisi riguardano le partecipate (e non tutte le partecipate si chiamano Zuccherificio e Solagrital). Ma anche quelle situazioni in cui si stanno soffrendo le difficoltà della crisi senza che la Regione ci abbia messo mano, in realtà chiamano in causa l'indifferenza o l'incapacità di fornire il supporto indispensabile che la politica è chiamata a dare per reggere la competizione globale.

E vale anche il ragionamento inverso. Solo se una nuova politica saprà dare soluzione ai due casi più corposi e più intricati si dimostrerà credibile anche per le altre crisi “da partecipazione” e sarà in condizione di creare lo spazio di intervento necessario per sostenere davvero il tessuto produttivo, nella sua estensione, con interventi sufficienti e perciò efficaci.

Mi scuserà il lettore questo lungo preambolo, che mi è sembrato necessario per giustificare l'attenzione “privilegiata” che dedico a questi due casi, nel momento in cui torno ad occuparmi di Solagrital, mentre resto in attesa di verificare gli sviluppi della vicenda Zuccherificio.
Su quest'ultimo mi permetto solo di ribadire quanto sostenevo nell'ultimo post a proposito della scelta operata, di tentare soluzioni puramente finanziarie. Quella strada non porta da nessuna parte e condanna a morte tutta la filiera, non solo lo stabilimento, compresa la Newco, se non si fanno tornare i conti. Per questo la vicenda dei “non trasferiti”, ora che è terminato il distacco alla Newco, mette a nudo tutta la debolezza della soluzione congegnata. Per questo la costituzione di un comitato di rappresentanza dei loro specifici interessi va salutata positivamente. Può essere la leva con cui rimettere tutta la questione con i piedi per terra, prima che finiscano tutti (non solo i ventisette) a gambe all'aria. E i primi che dovrebbero far sentire il loro appoggio ai ventisette rimasti appesi sono proprio i sindacati dei lavoratori agricoli e le rappresentanze di categoria dei coltivatori. Se si arroccano, pensandosi in posizione di forza, commettono un errore tremendo (che purtroppo oggi commettono in tanti).



Tornando a Solagrital, vorrei ripartire da dove ero rimasto a febbraio, quando parlavo di un vicolo cieco . Profeta fin troppo facile. Arena spa si è vista costretta a richiedere una procedura di concordato preventivo e per l'8 ottobre il giudice ha fissato l'adunanza dei creditori. Il management di Solagrital si è fatto da parte trasferendo alla Regione, socio di maggioranza, l'onere di una valutazione (disperata) circa le prospettive.

Guardiamo meglio nella situazione partendo da Arena. Trattandosi di una società quotata in Borsa, sotto la lente della Consob, basta far parlare le carte ufficiali. Per capire meglio in quali condizioni affronta il concordato preventivo credo si debba partire dal piano industriale che accompagna il concordato preventivo prendendo le mosse da quello che l'Azienda aveva predisposto appena un anno fa (approvato il 30/4/11 e aggiornato nel mese di ottobre 2011) per tentare il risanamento. Quel Piano (2012-2015), che riproduco in sintesi in uno sforzo, tuttavia, di completezza, prevedeva una serie di accordi e di misure da porre in essere sui diversi aspetti:
-        patrimoniali: conversione in capitale sociale del debito commerciale verso Solagrital (per 15 milioni), di quello finanziario verso JP Morgan (per 17 milioni) e di quello verso Logint (per 10 milioni) entro il 2011; aumento di capitale per almeno 34 milioni di euro entro 2 anni (poi stimati in 40 milioni a ottobre), attraverso un accordo con un fondo di investimento internazionale con sede a New York (GEM Investments America LLC)
-        finanziari: far fronte al deficit di capitale circolante netto (68,4 milioni di euro al 30/9/11), oltre che con le misure patrimoniali, anche attraverso il differimento dei debiti residui (al 30/6/12 quelli verso Logint, per 5 milioni, a fine 2012 quelli verso Solagrital/Regione Molise, per altri 5), la vendita a Solagrital di assets non strategici (1,5 milioni), l'aumento di capitale di Codisal in Solagrital per 1 milione (conversione di crediti), un aumento di capitale destinato al mercato (costituendo a questo fine un consorzio di garanzia)
-        economici, per un incremento del volume di affari ed un ritorno all'utile attraverso: recupero delle quote di mercato; riqualificazione dell'offerta di gamma attraverso il lancio di nuovi prodotti; sviluppo delle lavorazioni a maggior valore aggiunto (elaborati crudi, o terze lavorazioni, e cotti, o quarte lavorazioni); spostamento del mix tra prime lavorazioni (pollo intero) e seconde (parti di pollo) verso l'alta qualità; ribilanciamento dell’offerta all’interno dei canali di vendita tra Grande Distribuzione e dettaglio tradizionale; rilancio dell’immagine di marca, sfruttando il suo elevato potenziale (inespresso) anche attraverso investimenti di marketing; infine, incremento progressivo dei prezzi medi di vendita dei prodotti, fino al recupero di una copertura distributiva nazionale riorganizzando e potenziando la struttura di vendita e manageriale.

Non c'è bisogno di essere particolarmente esperti in economia aziendale per rendersi conto che in fin dei conti tutto il Piano reggeva sul presupposto di un accordo con Solagrital e dunque con il socio di maggioranza, la Regione Molise. Com'è andata è risaputo. Ce lo dicono le cronache e lo mette nero su bianco Arena spa nel momento in cui chiede il concordato preventivo: “soltanto Logint S.r.l. ha dato corso agli impegni assunti; diversamente, Solagrital ha ritenuto di non sottoscrivere l’aumento di capitale. Pertanto, è venuto meno uno dei pilastri del risanamento patrimoniale.” E non è tutto: “contestualmente, i nuovi prezzi di acquisto contemplati nel predetto accordo, che avrebbero consentito l’attuazione del piano industriale, non sono stati praticati, con la conseguenza che si è preferito interrompere le forniture per non aggravare la situazione finanziaria della Società (Comunicato Arena del 20/6/2012).

Di conseguenza, JP Morgan non ha assunto alcun impegno in ordine alla conversione del Prestito Obbligazionario in capitale e, quanto all'accordo con GEM (per il quale Consob aveva rilasciato il nulla osta alla pubblicazione), la Società ha ritenuto di non procedere all'esecuzione dell'aumento di capitale stante la situazione complessiva.
“Il venir meno di parte dell’auspicata ripatrimonializzazione della Società nel corso dell’esercizio - è sempre Arena a dichiararlo nel comunicato riguardante la richiesta di concordato preventivo - ha determinato un progressivo aggravarsi dello stato di crisi … risalente a pregresse gestioni.” Conclusione: “nel mese di dicembre 2011 sono state interrotte le forniture, già ridotte progressivamente nel corso dell’esercizio, al fine di evitare l’ulteriore peggioramento della redditività, anche in considerazione della risoluzione del contratto di somministrazione da parte di Solagrital. Tale situazione ha generato un drastico decremento dei volumi di vendita.”
Sono dunque queste le premesse che hanno portato alla procedura di concordato preventivo, che offre ai creditori una tutela molto ridotta ma, si presume, migliore di quella in cui potrebbero sperare come esito di una procedura fallimentare.
Più in dettaglio, posto che i creditori privilegiati devono essere saldati al 100% (ma vantano poco più di 1 milione di crediti di cui 0,5 già accantonati obbligatoriamente), agli altri creditori (“chirografari”) si propongono tre quote: 5% per la controllata Interfin (per 12,2 M€); 40% per Solagrital e GAM (per 31M€ ca.), in quanto “portatori degli interessi della filiera avicola molisana, nella cui direzione si proiettano gli sviluppi possibili del piano industriale”, pagabile in denaro (dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte del mercato) o in conversione, totale o parziale, in capitale sociale di Arena; 20% per gli altri (JP Morgan e Logint, per 23M€), anche in questo caso in denaro o mediante conversione in capitale sociale.
Si tratta di un concordato preventivo in continuità. Ciò significa che si presuppone il riavvio dell'attività commerciale. Come?
Il nuovo piano (2013-2015) lo dice solo in parte. Le linee del precedente Piano quanto al rilancio della produzione e alla riconquista di spazi sul mercato non sono riprese. Restano sullo sfondo.
Si prospettano solo cessioni di assets non strategici, a valori asseverati da perizie, nonché – attenzione! - dei marchi di proprietà di Arena (cioè Arena Surgelati), oggetto di una proposta irrevocabile di acquisto da parte di un terzo investitore. Si ipotizza poi che, per effetto di quanto previsto nel concordato, la Società raggiunga un assetto patrimoniale sostanzialmente privo di debiti (e un patrimonio netto positivo per ca. 2,5M€), così da permettere di rifinanziare la ripresa delle attività produttive.
Inoltre, la cessione dei marchi di proprietà (valutati 3,65 M€ più IVA) sarebbe accompagnata dall’acquisto dei marchi di proprietà della controllata Arena Alimentari Freschi S.p.A. (“Naturicchi”, “Tu in cucina” e “Garbini”) a 3,17 M€ più IVA.
Ma rispetto al piano del 2011 la novità principale, su cui dovrebbe poggiare la sperata espansione commerciale, consiste nella costituzione di una Newco (vi ricorda qualcosa?) alla quale verrebbe concesso l’uso dei marchi che resteranno di proprietà, dietro pagamento di una royalty annua, ipotizzata al 2% del fatturato netto annuo generato. L’attività preparatoria dovrebbe essere avviata immediatamente, prima della fine del 2012, per poter disporre già al momento dell'avvio, all'inizio del 2013 appena approvato il concordato, di tutti gli elementi necessari per un rilancio sul mercato di Arena. Unico accenno agli aspetti economici, ripreso dal piano precedente, lo sviluppo dei marchi attraverso i canali della Grande Distribuzione, del dettaglio tradizionale dei discount, “intercettando i consumatori di diverse fasce di mercato... avvalendosi dei rapporti e dell'esperienza pluriennale maturata.”
Infine, si procederebbe alla ristrutturazione del Gruppo Arena, valutando l'ipotesi di liquidare le controllate (Arena Alimentari Freschi S.p.A., Codisal s.r.l. e Interfin S.p.A.), considerando che, “ragionevolmente” non ne deriverebbero riflessi negativi sulla realizzabilità del piano.
Torniamo al punto precedente. Non posso che ripetermi: non c'è bisogno di essere particolarmente esperti in economia aziendale per rendersi conto che anche questo Piano regge sul presupposto di un accordo con Solagrital e dunque con il socio di maggioranza, la Regione Molise.
Che ne pensa Solagrital? Ce lo dice il CDA, che ha provveduto a predisporre a sua volta un Piano Industriale 2012-2016, a supporto di un progetto di concordato preventivo che non ha tuttavia ancora deliberato di presentare. Il motivo è presto detto: il fabbisogno minimo è stimato in 22 M€ (di cui circa 10 per estinguere i debiti e il restante per ricostituire il capitale circolante necessario alla continuità aziendale) e, non essendo probabile che il Socio Arena possa sottoscriverne la sua parte, il CDA rimette doverosamente la decisione nelle mani del socio di maggioranza, cioè della Regione. Che, peraltro, per il solo avvio della procedura concordataria dovrebbe metter mano al portafoglio per almeno 6 M€ (prededucibili, si intende!) entro e non oltre – si badi bene! - il 10-09-2012. Senza di che (sembra un destino che quando si tratta di battere cassa alla Regione la scadenza sia sempre “prima di subito”), è inevitabile la liquidazione.
C'è poi un piccolo particolare. Il consigliere delegato, espressione del Gruppo Arena, si è dimesso senza attribuire ad altri le deleghe. La sua sostituzione spetta, in base ai patti parasociali, al Gruppo Arena. Ne consegue che l'intero Consiglio di Amministrazione si è trovato a dover chiedere il commissariamento, unica soluzione per uscire da questo intrico essendo “alquanto improbabile” che con il Gruppo Arena si possano rinegoziare i patti parasociali.  
Fine della fiera. Il cerino è in mano alla Regione. Che fare?
A costo di risultare monotono, risponderei innanzi tutto: fare i conti.
E i conti partono dalla proposta di concordato Arena: Solagrital dovrebbe rinunciare al 60% del suo credito scommettendo per il restante 40% sulla ripresa di Arena. Dunque il fabbisogno per estinguere i debiti salirebbe (tra rinuncia a crediti e aumento di capitale Arena) da (almeno) 10 a (almeno) 40 milioni.
Anche lasciando perdere per un attimo la parte destinata al circolante per la continuità dell'attività di macellazione e lavorazione di Solagrital, questa è la cifra necessaria a evitare la liquidazione di Solagrital e di Arena. Liquidazione che ricadrebbe tutta sulle spalle dei creditori ultimi di Solagrital, ovvero sugli allevatori soccidari, che si dovrebbero accontentare delle briciole, e sui lavoratori che, visti soddisfatti i loro crediti privilegiati al 100%, sarebbero però mandati a casa.
C'è un'altra strada? L'alternativa, 40 milioni o una tragedia sociale, è secca, senza scampo?

Non sta a me dare una risposta a questa domanda. Non intendo però fermarmi qui, a metà del guado. Perché mi sono fatto l'idea, per quelle che sono le mie informazioni e le mie competenze, che si possa fare più e meglio. Che una buona politica potrebbe mettere in campo risorse anche più preziose dei 40 milioni. Che dovrebbe, anzi, farlo. Perché, se tutto resta com'è attualmente, neanche i 40 milioni potrebbero salvare la filiera, e con essa il territorio che ne trae ricchezza.
Sulle possibili soluzioni che, a mio modesto avviso, possono essere prese in considerazione voglio tornare in una seconda puntata. Non solo per non appesantire il lettore, già abbastanza provato, credo, dal percorso seguito fin qui, ma anche per verificare se vi siano in campo altre idee, prima delle mie. Magari migliori, come è probabile. Se qualcuno ha già fatto lo sforzo a cui mi sono esercitato anch'io e ritiene di poterlo rendere di dominio pubblico e sottoporre a condivisione.
Perché questa è una delle pre-condizioni, che intendo enunciare prima di chiudere questa puntata.
E' anzi la prima pre-condizione. Una buona politica deve partire dall'investire sulla sua risorsa fondamentale e più preziosa, la partecipazione, l'apporto dei soggetti a vario titolo interessati, individui e associazioni. Che significa anche condivisione, in un dialogo aperto e trasparente, nell'interesse dei molti e non dei pochi.
Un'altra pre-condizione è la salvaguardia del patrimonio immateriale: conoscenze, competenze, saperi, impersonati da chi ha investito energie in questa impresa, che non è uno stabilimento, o un marchio, o un gruppo, ma una filiera complessa, posizionata su un territorio vivo, da cui ha tratto nutrimento: materiale, ma anche, come è ovvio, immateriale. E il legame con il territorio è dunque duplice, le radici affondano nell'humus culturale non meno che in quello in senso stretto.
Per questo la filiera è una parola chiave e il territorio è il suo complemento ineliminabile. Da lì si deve partire.
Voltando però pagina, è l'ultima pre-condizione che mi sento di enunciare, quanto alla struttura di comando. Non si può mettere di nuovo al timone chi ha fatto fallimento.
Non è un inizio di pars construens, come sembra dare ad intendere Massimo Romano nell'ardore della denuncia, sacrosanta e condivisibile, di sprechi, inefficienze e violazioni di leggi e contratti. E' una pre-condizione, un ostacolo da rimuovere (da destruere) per costruire. Se ci si fermasse lì, se si rinviasse il tutto alla sede giudiziale la soluzione – quand'anche arrivasse – arriverebbe tuttavia, come suol dirsi, “a babbo morto”. Non è questo che può e deve fare la buona politica. Il suo mestiere è un altro, come mi sono sforzato di dire all'inizio. E allora la condizione del voltare pagina comporta anche, inevitabilnente (ma penso che il lettore l'avesse colto da un bel po'), che il Governo della Regione passi anch'esso in altre mani.
Il management Arena, dovendo rispondere al mercato e alla Borsa, è consapevole di dover solo garantire un approdo in un altro porto, in altre mani. Quello Solagrital, volente o meno (non posso saperlo) è stato costretto dall'intreccio delle responsabilità a farsi da parte. Chi ha sulle spalle le responsabilità principali non mostra invece di avere alcuna intenzione di cedere il passo. Ma l'appuntamento con il Consiglio di Stato e, sperabilmente il più presto possibile, con gli elettori potrà segnare il realizzarsi anche di questa pre-condizione.
Per fare che? Parliamone nel prossimo post.