Sono queste le parole chiave per dare una soluzione al vicolo cieco in cui è finita la Regione Molise. Riprendiamo il dossier Arena - Solagrital per cercare il bandolo di una matassa intricata. Ma è la politica che ha creato il disastro ed è la politica che deve voltare pagina. Prima possibile.
Arena-Solagrital, Zuccherificio.
Due storie parallele: istanze di fallimento e procedure concordatarie, posti di
lavoro in bilico, management aziendali nella tempesta, decine di milioni di
euro dei contribuenti destinati a prendere il volo senza ritorno. Perché
insistere su due storie disperate? Perché non allargare lo sguardo?
Ebbene, guardiamoci intorno: alla
fine troveremo che in quei due simboli si riassume un intero paesaggio.
L'economia molisana è allo
stremo. Ultimo bollettino di guerra, l'indagine Excelsior certifica che è la
Regione in cui si registra la maggiore caduta percentuale dell'occupazione tra
tutte le regioni d'Italia, per un saldo negativo del 2% tra assunzioni
(previste) e uscite, quando la media per il Paese è di -1,1% e perfino il Sud e
le Isole fanno meglio (-1,8%).
E' la crisi globale? E' la crisi
italiana? Ovvio, ma se l'Italia va peggio di tutti nel mondo, il Molise va
peggio di tutti in Italia. E' colpa degli imprenditori molisani, tutti
incapaci? Non c'è motivo di pensare che ce ne siano più della media. Inutile
girarci intorno, le responsabilità principali sono della politica (e
dell'amministrazione, la cui guida spetta, nuovamente, alla politica). Che,
quando ha messo le mani direttamente nelle aziende, dettando legge e ponendosi
al di sopra delle regole del mercato, le ha condotte al disastro mentre ha
abbandonato le altre a se stesse lasciando che fossero stritolate, in un
mercato in cui avevano bisogno di essere aiutate per competere adeguatamente.
Non c'è contraddizione tra le due
critiche. La politica non solo può ma deve interagire con il mercato per
correggere le ingiustizie e le distorsioni che può produrre sul piano sociale.
Non può contraddire quelle regole nei suoi fondamenti: detto con la massima
banalità, la somma algebrica dei costi e dei ricavi non può non stare in
equilibrio. Senonché il mercato non contempla tra le sue regole alcuna finalità
esterna, motivo per cui appartiene alla politica il compito di indirizzare la
dinamica economica secondo regole diverse da quelle imposte dal mercato (pur
senza contraddirle). Verso fini trasparenti, espliciti, e chiari nel loro
impatto economico (sui conti del dare e dell'avere). Finalità sociali, quindi,
rivolte alla crescita del bene comune e alla sua sostenibilità nel tempo.
La politica molisana non ha
assolto a questo compito. E' sotto gli occhi di tutti. Ha fatto tutto il
contrario.
Ha sovrapposto alle leggi di
mercato finalità private. Di potere: piccoli favori a tanti in funzione della
conquista del consenso. Di affari: benefici lucrosissimi per pochi, purché
fossero amici o capibastone. In modo non trasparente: per coprire la totale
assenza di imparzialità. Stravolgendo le regole del mercato: lasciando che i
conti non tornassero. A spese dei contribuenti: rendendo ancora più grave
l'ingiustizia nei confronti di chi, oltre a subire il danno, pagandone le
spese, veniva privato di un possibile beneficio.
Ecco dunque la centralità di quei
due casi eclatanti. Perché è vero che non tutte le crisi riguardano le
partecipate (e non tutte le partecipate si chiamano Zuccherificio e
Solagrital). Ma anche quelle situazioni in cui si stanno soffrendo le
difficoltà della crisi senza che la Regione ci abbia messo mano, in realtà
chiamano in causa l'indifferenza o l'incapacità di fornire il supporto
indispensabile che la politica è chiamata a dare per reggere la competizione
globale.
E vale anche il ragionamento
inverso. Solo se una nuova politica saprà dare soluzione ai due casi più
corposi e più intricati si dimostrerà credibile anche per le altre crisi “da
partecipazione” e sarà in condizione di creare lo spazio di intervento
necessario per sostenere davvero il tessuto produttivo, nella sua estensione,
con interventi sufficienti e perciò efficaci.
Mi scuserà il lettore questo lungo
preambolo, che mi è sembrato necessario per giustificare l'attenzione
“privilegiata” che dedico a questi due casi, nel momento in cui torno ad
occuparmi di Solagrital, mentre resto in attesa di verificare gli sviluppi
della vicenda Zuccherificio.
Su quest'ultimo mi permetto solo
di ribadire quanto sostenevo nell'ultimo post a proposito della scelta operata,
di tentare soluzioni puramente finanziarie. Quella strada non
porta da nessuna parte e condanna a morte tutta la filiera, non solo lo
stabilimento, compresa la Newco, se non si fanno tornare i conti. Per questo la
vicenda dei “non trasferiti”, ora che è terminato il distacco alla Newco, mette
a nudo tutta la debolezza della soluzione congegnata. Per questo la
costituzione di un comitato di rappresentanza dei loro specifici interessi va
salutata positivamente. Può essere la leva con cui rimettere tutta la questione
con i piedi per terra, prima che finiscano tutti (non solo i ventisette) a
gambe all'aria. E i primi che dovrebbero far sentire il loro appoggio ai
ventisette rimasti appesi sono proprio i sindacati dei lavoratori agricoli e le
rappresentanze di categoria dei coltivatori. Se si arroccano, pensandosi in
posizione di forza, commettono un errore tremendo (che purtroppo oggi
commettono in tanti).
Tornando a Solagrital, vorrei
ripartire da dove ero rimasto a febbraio, quando parlavo di un vicolo
cieco . Profeta fin troppo facile. Arena spa si è vista costretta a
richiedere una procedura di concordato preventivo e per l'8 ottobre il giudice
ha fissato l'adunanza dei creditori. Il management di Solagrital si è fatto da
parte trasferendo alla Regione, socio di maggioranza, l'onere di una
valutazione (disperata) circa le prospettive.
Guardiamo meglio nella situazione
partendo da Arena. Trattandosi di una società quotata in Borsa, sotto la lente
della Consob, basta far parlare le carte ufficiali. Per capire meglio in quali
condizioni affronta il concordato preventivo credo si debba partire dal piano
industriale che accompagna il concordato preventivo prendendo le mosse da
quello che l'Azienda aveva predisposto appena un anno fa (approvato il 30/4/11
e aggiornato nel mese di ottobre 2011) per tentare il risanamento. Quel Piano
(2012-2015), che riproduco in sintesi in uno sforzo, tuttavia, di completezza,
prevedeva una serie di accordi e di misure da porre in essere sui diversi
aspetti:
-
patrimoniali:
conversione in capitale sociale del debito commerciale verso Solagrital (per 15
milioni), di quello finanziario verso JP Morgan (per 17 milioni) e di quello
verso Logint (per 10 milioni) entro il 2011; aumento di capitale per almeno 34
milioni di euro entro 2 anni (poi stimati in 40 milioni a ottobre), attraverso
un accordo con un fondo di investimento internazionale con sede a New York (GEM
Investments America LLC)
-
finanziari:
far fronte al deficit di capitale circolante netto (68,4 milioni di euro al
30/9/11), oltre che con le misure patrimoniali, anche attraverso il
differimento dei debiti residui (al 30/6/12 quelli verso Logint, per 5 milioni,
a fine 2012 quelli verso Solagrital/Regione Molise, per altri 5), la vendita a
Solagrital di assets non strategici (1,5 milioni), l'aumento di capitale di
Codisal in Solagrital per 1 milione (conversione di crediti), un aumento di
capitale destinato al mercato (costituendo a questo fine un consorzio di
garanzia)
-
economici, per
un incremento del volume di affari ed un ritorno all'utile attraverso: recupero
delle quote di mercato; riqualificazione dell'offerta di gamma attraverso il
lancio di nuovi prodotti; sviluppo delle lavorazioni a maggior valore aggiunto
(elaborati crudi, o terze lavorazioni, e cotti, o quarte lavorazioni);
spostamento del mix tra prime lavorazioni (pollo intero) e seconde (parti di
pollo) verso l'alta qualità; ribilanciamento dell’offerta all’interno dei
canali di vendita tra Grande Distribuzione e dettaglio tradizionale; rilancio
dell’immagine di marca, sfruttando il suo elevato potenziale (inespresso) anche
attraverso investimenti di marketing; infine, incremento progressivo dei prezzi
medi di vendita dei prodotti, fino al recupero di una copertura distributiva
nazionale riorganizzando e potenziando la struttura di vendita e manageriale.
Non c'è bisogno di essere
particolarmente esperti in economia aziendale per rendersi conto che in fin dei
conti tutto il Piano reggeva sul presupposto di un accordo con Solagrital e
dunque con il socio di maggioranza, la Regione Molise. Com'è andata è risaputo.
Ce lo dicono le cronache e lo mette nero su bianco Arena spa nel momento in cui
chiede il concordato preventivo: “soltanto Logint S.r.l. ha dato corso agli
impegni assunti; diversamente, Solagrital ha ritenuto di non sottoscrivere
l’aumento di capitale. Pertanto, è venuto meno uno dei pilastri del risanamento
patrimoniale.” E non è tutto: “contestualmente, i nuovi prezzi di acquisto
contemplati nel predetto accordo, che avrebbero consentito l’attuazione del
piano industriale, non sono stati praticati, con la conseguenza che si è
preferito interrompere le forniture per non aggravare la situazione finanziaria
della Società (Comunicato Arena del 20/6/2012).
Di conseguenza, JP Morgan non ha assunto alcun impegno
in ordine alla conversione del Prestito Obbligazionario in capitale e, quanto
all'accordo con GEM (per il quale Consob aveva rilasciato il nulla osta alla
pubblicazione), la Società ha ritenuto di non procedere all'esecuzione
dell'aumento di capitale stante la situazione complessiva.
“Il venir meno di parte dell’auspicata
ripatrimonializzazione della Società nel corso dell’esercizio - è sempre Arena
a dichiararlo nel comunicato riguardante la richiesta di concordato preventivo
- ha determinato un progressivo aggravarsi dello stato di crisi … risalente a
pregresse gestioni.” Conclusione: “nel mese di dicembre 2011 sono state
interrotte le forniture, già ridotte progressivamente nel corso dell’esercizio,
al fine di evitare l’ulteriore peggioramento della redditività, anche in
considerazione della risoluzione del contratto di somministrazione da parte di
Solagrital. Tale situazione ha generato un drastico decremento dei volumi di
vendita.”
Sono dunque queste le premesse
che hanno portato alla procedura di concordato preventivo, che offre ai
creditori una tutela molto ridotta ma, si presume, migliore di quella in cui
potrebbero sperare come esito di una procedura fallimentare.
Più in dettaglio, posto che i creditori privilegiati
devono essere saldati al 100% (ma vantano poco più di 1 milione di crediti di
cui 0,5 già accantonati obbligatoriamente), agli altri creditori (“chirografari”)
si propongono tre quote: 5% per la controllata Interfin (per 12,2 M€); 40% per
Solagrital e GAM (per 31M€ ca.), in quanto “portatori degli interessi della
filiera avicola molisana, nella cui direzione si proiettano gli sviluppi
possibili del piano industriale”, pagabile in denaro (dalla sottoscrizione
dell’aumento di capitale da parte del mercato) o in conversione, totale o
parziale, in capitale sociale di Arena; 20% per gli altri (JP Morgan e Logint,
per 23M€), anche in questo caso in denaro o mediante conversione in capitale
sociale.
Si tratta di un concordato
preventivo in continuità. Ciò significa che si presuppone il riavvio
dell'attività commerciale. Come?
Il nuovo piano (2013-2015) lo
dice solo in parte. Le linee del precedente Piano quanto al rilancio della
produzione e alla riconquista di spazi sul mercato non sono riprese. Restano
sullo sfondo.
Si prospettano solo cessioni di assets non
strategici, a valori asseverati da perizie, nonché – attenzione! - dei marchi
di proprietà di Arena (cioè Arena Surgelati), oggetto di una proposta
irrevocabile di acquisto da parte di un terzo investitore. Si ipotizza poi che,
per effetto di quanto previsto nel concordato, la Società raggiunga un assetto
patrimoniale sostanzialmente privo di debiti (e un patrimonio netto positivo
per ca. 2,5M€), così da permettere di rifinanziare la ripresa delle attività
produttive.
Inoltre, la cessione dei marchi di proprietà (valutati
3,65 M€ più IVA) sarebbe accompagnata dall’acquisto dei marchi di proprietà
della controllata Arena Alimentari Freschi S.p.A. (“Naturicchi”, “Tu in cucina”
e “Garbini”) a 3,17 M€ più IVA.
Ma rispetto al piano del 2011
la novità principale, su cui dovrebbe poggiare la sperata espansione commerciale, consiste nella costituzione di
una Newco (vi ricorda qualcosa?) alla quale verrebbe concesso l’uso dei marchi
che resteranno di proprietà, dietro pagamento di una royalty annua, ipotizzata al 2% del fatturato netto annuo generato.
L’attività preparatoria dovrebbe essere avviata immediatamente, prima della
fine del 2012, per poter disporre già al momento dell'avvio, all'inizio del
2013 appena approvato il concordato, di tutti gli elementi necessari per un
rilancio sul mercato di Arena. Unico accenno agli aspetti economici, ripreso
dal piano precedente, lo sviluppo dei marchi attraverso i canali della Grande
Distribuzione, del dettaglio tradizionale dei discount, “intercettando i consumatori di diverse fasce di
mercato... avvalendosi dei rapporti e dell'esperienza pluriennale maturata.”
Infine, si procederebbe alla
ristrutturazione del Gruppo Arena, valutando l'ipotesi di liquidare le
controllate (Arena Alimentari Freschi S.p.A., Codisal s.r.l. e Interfin
S.p.A.), considerando che, “ragionevolmente” non ne deriverebbero riflessi
negativi sulla realizzabilità del piano.
Torniamo al punto precedente.
Non posso che ripetermi: non c'è bisogno di essere particolarmente esperti in
economia aziendale per rendersi conto che anche questo Piano regge sul
presupposto di un accordo con Solagrital e dunque con il socio di maggioranza,
la Regione Molise.
Che ne pensa Solagrital? Ce lo
dice il CDA, che ha provveduto a predisporre a sua volta un Piano Industriale
2012-2016, a supporto di un progetto di concordato preventivo che non ha
tuttavia ancora deliberato di presentare. Il motivo è presto detto: il
fabbisogno minimo è stimato in 22 M€ (di cui circa 10 per estinguere i debiti e
il restante per ricostituire il capitale circolante necessario alla continuità
aziendale) e, non essendo probabile che il Socio Arena possa sottoscriverne la
sua parte, il CDA rimette doverosamente la decisione nelle mani del socio di
maggioranza, cioè della Regione. Che, peraltro, per il solo avvio della
procedura concordataria dovrebbe metter mano al portafoglio per almeno 6 M€
(prededucibili, si intende!) entro e non oltre – si badi bene! - il 10-09-2012.
Senza di che (sembra un destino che quando si tratta di battere cassa alla
Regione la scadenza sia sempre “prima di subito”), è inevitabile la
liquidazione.
C'è poi un piccolo particolare.
Il consigliere delegato, espressione del Gruppo Arena, si è dimesso senza
attribuire ad altri le deleghe. La sua sostituzione spetta, in base ai patti
parasociali, al Gruppo Arena. Ne consegue che l'intero Consiglio di
Amministrazione si è trovato a dover chiedere il commissariamento, unica
soluzione per uscire da questo intrico essendo “alquanto improbabile” che con
il Gruppo Arena si possano rinegoziare i patti parasociali.
Fine della fiera. Il cerino è in
mano alla Regione. Che fare?
A costo di risultare monotono,
risponderei innanzi tutto: fare i conti.
E i conti partono dalla proposta
di concordato Arena: Solagrital dovrebbe rinunciare al 60% del suo credito
scommettendo per il restante 40% sulla ripresa di Arena. Dunque il fabbisogno
per estinguere i debiti salirebbe (tra rinuncia a crediti e aumento di capitale
Arena) da (almeno) 10 a (almeno) 40 milioni.
Anche lasciando perdere per un
attimo la parte destinata al circolante per la continuità dell'attività di
macellazione e lavorazione di Solagrital, questa è la cifra necessaria a
evitare la liquidazione di Solagrital e di Arena. Liquidazione che ricadrebbe
tutta sulle spalle dei creditori ultimi di Solagrital, ovvero sugli allevatori
soccidari, che si dovrebbero accontentare delle briciole, e sui lavoratori che,
visti soddisfatti i loro crediti privilegiati al 100%, sarebbero però mandati a
casa.
C'è un'altra strada?
L'alternativa, 40 milioni o una tragedia sociale, è secca, senza scampo?
Non sta a me dare una risposta a
questa domanda. Non intendo però fermarmi qui, a metà del guado. Perché mi sono
fatto l'idea, per quelle che sono le mie informazioni e le mie competenze, che
si possa fare più e meglio. Che una buona politica potrebbe mettere in campo
risorse anche più preziose dei 40 milioni. Che dovrebbe, anzi, farlo. Perché,
se tutto resta com'è attualmente, neanche i 40 milioni potrebbero salvare la
filiera, e con essa il territorio che ne trae ricchezza.
Sulle possibili soluzioni che, a
mio modesto avviso, possono essere prese in considerazione voglio tornare in
una seconda puntata. Non solo per non appesantire il lettore, già abbastanza
provato, credo, dal percorso seguito fin qui, ma anche per verificare se vi
siano in campo altre idee, prima delle mie. Magari migliori, come è probabile.
Se qualcuno ha già fatto lo sforzo a cui mi sono esercitato anch'io e ritiene
di poterlo rendere di dominio pubblico e sottoporre a condivisione.
Perché questa è una delle
pre-condizioni, che intendo enunciare prima di chiudere questa puntata.
E' anzi la prima pre-condizione.
Una buona politica deve partire dall'investire sulla sua risorsa fondamentale e
più preziosa, la partecipazione, l'apporto dei soggetti a vario titolo
interessati, individui e associazioni. Che significa anche condivisione, in un
dialogo aperto e trasparente, nell'interesse dei molti e non dei pochi.
Un'altra pre-condizione è la
salvaguardia del patrimonio immateriale: conoscenze, competenze, saperi,
impersonati da chi ha investito energie in questa impresa, che non è uno
stabilimento, o un marchio, o un gruppo, ma una filiera complessa, posizionata
su un territorio vivo, da cui ha tratto nutrimento: materiale, ma anche, come è
ovvio, immateriale. E il legame con il territorio è dunque duplice, le radici
affondano nell'humus culturale non meno che in quello in senso stretto.
Per questo la filiera è una
parola chiave e il territorio è il suo complemento ineliminabile. Da lì si deve
partire.
Voltando però pagina, è l'ultima
pre-condizione che mi sento di enunciare, quanto alla struttura di comando. Non
si può mettere di nuovo al timone chi ha fatto fallimento.
Non è un inizio di pars
construens, come sembra dare ad intendere Massimo Romano nell'ardore della
denuncia, sacrosanta e condivisibile, di sprechi, inefficienze e violazioni di
leggi e contratti. E' una pre-condizione, un ostacolo da rimuovere (da destruere)
per costruire. Se ci si fermasse lì, se si rinviasse il tutto alla sede
giudiziale la soluzione – quand'anche arrivasse – arriverebbe tuttavia, come
suol dirsi, “a babbo morto”. Non è questo che può e deve fare la buona
politica. Il suo mestiere è un altro, come mi sono sforzato di dire all'inizio.
E allora la condizione del voltare pagina comporta anche, inevitabilnente (ma
penso che il lettore l'avesse colto da un bel po'), che il Governo della Regione
passi anch'esso in altre mani.
Il management Arena, dovendo
rispondere al mercato e alla Borsa, è consapevole di dover solo garantire un
approdo in un altro porto, in altre mani. Quello Solagrital, volente o meno
(non posso saperlo) è stato costretto dall'intreccio delle responsabilità a
farsi da parte. Chi ha sulle spalle le responsabilità principali non mostra
invece di avere alcuna intenzione di cedere il passo. Ma l'appuntamento con il
Consiglio di Stato e, sperabilmente il più presto possibile, con gli elettori
potrà segnare il realizzarsi anche di questa pre-condizione.
Per fare che? Parliamone nel
prossimo post.